Durante la visita in Italia del Presidente argentino Javier Milei è in programma un incontro con la Premier Giorgia Meloni: a parte l’ammirazione politica reciproca tra i due, lo scopo della visita è basicamente quello di vedere quanto l’Italia potrà essere un partner commerciale importante per l’Argentina. Ma, dopo la massiccia presenza di industrie Italiane nel corso degli ultimi 30 anni, a conferma di un certo legame storico tra i due Paesi dovuto principalmente alla forte immigrazione del secolo scorso, sotto questo punto di vista la questione pone molti dubbi soprattutto perché le imprese italiane di una certa importanza sono ormai governate da capitali stranieri e la stessa Premier sta portando avanti, attraverso il ministro dell’Economia e Finanze Giorgetti, delle privatizzazioni che di certo di italiano parlano poco, nonostante i suoi proclami di italianità urlati in campagna elettorale siano passati “alla storia”.



Il nodo cruciale però sarà quello di ottenere un aiuto italiano per cercare di risolvere una questione di capitale importanza non solo per l’Argentina, ma per tutti i Paesi latinoamericani che fanno parte sia del Mercosur che della Celac, le due Comunità che raggruppano gli stati del Continente.

Come le proteste degli agricoltori stanno dimostrando, gli accordi “raggiunti” nel 2019 tra Ue e Sudamerica a livello commerciale rappresentano un problema molto grave perché la loro finalizzazione non è stata accettata dalla Francia (e da altri Paesi), che vede nelle importazioni di prodotti agricoli dall’America Latina una minaccia gravissima al proprio settore.



Ci risiamo: come già commentato da anni, i rapporti con l’America latina sono sempre stati visti nel Vecchio Continente non come un’opportunità da sviluppare soprattutto per i grandi legami storici che ci uniscono a questa area del mondo, bensì come una questione di relativa importanza, un po’ al livello dell’Africa, altro continente “dimenticato”.

Tutti tesi ad avere relazioni sempre più profonde con l’Asia e specialmente con la Cina, al punto che, contemporaneamente a una disgregazione dell’Ue, si è sviluppata, anche per la deleteria “conversione filosofica green”, una dipendenza che sicuramente nel giro di pochissimi anni metterà in ginocchio parti importanti dell’economia europea ormai dipendenti totalmente dalla Cina, il nostro caro Vecchio continente ha solo recentemente tentato di stabilire contatti fruttiferi con il Sud del mondo. Ovviamente trovandosi la strada già occupata sia dalla Cina che dalla Russia, che hanno stretto e continuano a sviluppare accordi sempre più monopolizzanti le economie specie delle nazioni dove il populismo la fa da padrone, onde allontanare sempre di più gli Usa dalla loro sfera economica. Basti pensare che sono occorsi circa 20 anni di negoziati prima che, nel giugno del 2019, l’Ue raggiungesse un principio di accordo con quattro Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay) per la creazione di quella che doveva essere la più grande area di libero scambio economico al mondo, con circa 770 milioni di persone coinvolte.



Calcolando che già oltre 60.000 imprese europee esportano già nella regione, la teoria dice che la partenza di un libero scambio farebbe decollare le economie di entrambi i continenti. Purtroppo la pratica è un’altra cosa e, oltre alla crisi interna Ue, bisogna aggiungere che l’eliminazione dei dazi doganali favorirebbe sì le entità europee che già commerciano, ma distruggerebbe anche lì settori importanti delle loro nazioni applicando le stesse regole per i prodotti latinoamericani.

Per questo il trattato è ancora in fase di attesa di ratifica da entrambe le parti, perché se gli europei continuerebbero a esportare veicoli e macchinari, oltre alle indubbie ricchezze minerarie e di combustibili, ormai ben monopolizzate da altre potenze come scritto sopra, il fulcro dello scambio riguarderebbe i prodotti agricoli, dove le resistenze francesi, ma anche di altri Paesi, sarebbero, anzi sono, grandissime.

Le ragioni sono molto semplici da capire. In primo luogo, le legislazioni sono estremamente differenti, nel senso che in America latina l’uso di pesticidi proibiti in Europa è vastissimo: si pensi al solo glifosato, che però è permesso pure sia in Canada che in Ucraina (altri luoghi da dove importiamo, ad esempio, grano a gogò). A questo bisogna aggiungere un altro elemento importantissimo: la tutela dei diritti dei lavoratori, che in America latina è molto approssimativa e semplicemente priva di controlli anche in presenza di legislazioni simili alle nostre. Ciò significa, in poche parole, maggior sfruttamento del lavoro e quindi una concorrenza assolutamente sleale sul fronte dei prezzi.

Di certo trovare un equilibrio nell’intera questione costituisce un problema grandissimo, che già si verifica con la Cina, per esempio, sulla produzione di batterie per veicoli, fatto che impedisce lo sviluppo di questo settore in una Ue piena di restrizioni a livello ambientale.

Il problema è quindi grandissimo e l’agricoltura europea rischia di fare la fine dell’industria automobilistica, con una Cina che è uscita dall’accordo di Parigi sulle emissioni ambientali.

In poche parole la quadra deve essere trovata e in tempi molto brevi: operazione difficilissima perché imporrebbe cambi epocali ancora non attuabili nel Continente latinoamericano. Questo è uno dei tanti frutti dell’economia globalizzata che, quando iniziò, venne salutata come una soluzione che avrebbe permesso uno sviluppo e un benessere generale includendo anche aree del mondo che ne erano rimaste fuori: ma se le regole non sono comuni il gioco si farebbe complicato e si rischierebbe una recessione epica nell’intero mondo, non solo quello occidentale (che già di par suo si sta suicidando nei suoi valori culturali e di tradizione attraverso la propaganda woke).

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