«Non è la pace, è solo una tregua», ci spiega Francesco Sisci, giornalista, editorialista di Asia Times ed esperto di Cina, a proposito della firma avvenuta ieri a Washington della fase 1 dell’intesa tra Washington e Pechino che ferma la guerra commerciale tra i due colossi dell’economia mondiale. «È una firma positiva, ma sono rimaste aperte tantissime questioni che nessuno dei due Paesi sa come affrontare. E una eventuale rielezione di Trump alla Casa Bianca potrebbe riaprire lo scontro sui dazi. Già adesso gli Stati Uniti mettono le mani avanti, attraverso il Segretario al tesoro Steven Mnuchin, che in una intervista ha detto che Washington è pronta ad agire sulle tariffe doganali se non saranno rispettati gli impegni presi».



Siamo arrivati alla firma sull’accordo di fase 1 tra Stati Uniti e Cina. Come va giudicata questa intesa?

È naturalmente positiva, ma è una tregua, non una pace. Ci sono ancora tantissime questioni che sono rimaste aperte e che sia gli americani che i cinesi non sanno come affrontare. Nessuno però vuole una guerra commerciale. I cinesi perché sarebbero inevitabilmente danneggiati; Trump perché ha bisogno di un mercato attivo e di una economia positiva che lo aiuti a essere rieletto. Con questa tregua il Presidente americano non dico che si assicura una economia positiva, ma almeno si toglie un grosso elemento di recessione.



Secondo alcuni osservatori, dall’accordo sono però rimaste fuori alcune delle questioni più controverse. Quali a suo avviso?

L’accordo è di fatto di natura commerciale. La Cina si impegna ad acquistare prodotti agricoli americani che rilancerebbero l’economia di alcuni Stati del Midwest, cruciali per la rielezione di Trump, e quindi è chiaro si tratta di una cosa molto mirata. Però i problemi veri sono rimasti. Per esempio, l’apertura del mercato cinese che non c’è stata come chiedevano invece gli americani. C’è un mini-accordo sulla proprietà intellettuale, ma è minimo. E si affrontano le questioni tecnologiche, importantissime.



Al di là di imposizioni reciproche e ultimatum, i legami economici e tecnologici tra le due superpotenze diventeranno più distesi?

È un accordo commerciale importante perché nei prossimi mesi vedremo se entrambe le parti troveranno una via di uscita a una vera guerra commerciale che potrebbe comunque ricominciare con maggiore veemenza dopo la rielezione di Trump.

Nei rapporti tra Usa e Cina restano però aperti due nodi: Hong Kong e Taiwan. Questo accordo commerciale potrebbe aiutare Trump e Xi Jinping a trovare una posizione di compromesso?

I nodi in realtà sono molti di più.

Quali?

Quelli strategici, ad esempio il controllo del mare meridionale; la situazione dello Xinjiang, dove la minoranza musulmana è vittima di persecuzioni; il tema dei diritti umani. Tutte questioni di principio per il dibattito interno americano. E c’è poi la questione generale della cybertecnologia, dove non ci sono state concessioni da parte cinese.

Questo primo accordo potrebbe avere effetti positivi anche sull’export dell’Italia verso Usa e Cina?

Una guerra commerciale ovviamente deprime tutta l’economia mondiale anche quella italiana e questo accordo al momento dà anche a noi un po’ di ossigeno. Il problema è che l’Italia ha rinunciato a una politica estera, fa errori su errori. Il suggerimento è di non impicciarsi tra Cina e Usa, è meglio per noi.