Cina e Vaticano rinnovano per quattro anni l’accordo che prevede la nomina congiunta dei vescovi della Chiesa locale. Un’intesa sottoscritta per la prima volta nel 2018 che papa Francesco ha voluto prolungare nonostante non sia esente da critiche in campo cattolico. In realtà, spiega Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, la Santa Sede ragiona sul lungo periodo, cercando di lasciare comunque degli spazi di azione ai suoi preti e fedeli, anche se poi le limitazioni della libertà religiosa rimangono e non sono affatto di poco conto. Il regime, però, controlla tutto e per avere possibilità di manovra c’è chi decide di adattarsi alla situazione, cercando per quanto possibile di garantire la pratica religiosa.



Cosa significa il prolungamento dell’accordo Santa Sede-Cina? Un rinnovo atteso?

Una decisione scontata: diverse volte il segretario di Stato Parolin e il Papa l’avevano annunciata. Il comunicato che ne dà notizia, comunque, è un po’ bizzarro, sembra tradotto da una lingua straniera, probabilmente c’è qualche frase che è di marca cinese.



Si tratta del prolungamento di un’intesa sottoscritta nel 2018, vuol dire che in questi anni i rapporti del regime comunista con la Chiesa cattolica sono migliorati?

La situazione in Cina, in realtà, è peggiorata. Quando il Papa dice che ci sono miglioramenti vuol dire che qualcuno lo informa in questo senso, ma i riscontri che abbiamo sono di tutt’altra natura. Non sono d’accordo con posizioni radicalmente negative che parlano di svendite e tradimenti da parte della Santa Sede: la diplomazia vaticana ragiona in termini di decenni, se non di secoli, non deve rendere conto a degli elettori, il progetto che ha in mente è a lunghissima scadenza. Detto questo, molti risultati nel breve periodo sono pessimi o addirittura catastrofici.



Storicamente come si colloca l’accordo in un Paese non certo conosciuto per il rispetto delle libertà religiose?

Quando Mao arrivò al potere irregimentò le religioni in cinque associazioni i cui vertici vengono nominati dal partito comunista, ma ebbe difficoltà a costituire quella cattolica, perché ci volevano vescovi veri e la Santa Sede era pronta alla scomunica. Poi ha trovato un dirigente che è riuscito a convincere qualche vescovo: il vero fondatore della Chiesa cattolica altri non era che il papà di Xi Jinping, ateo ma incaricato da Mao di creare questa organizzazione. Quando viene costituita la chiesa patriottica, Pio XII la scomunica: in Cina, così, ci sono due chiese, una patriottica, in cui i vescovi vengono nominati dai comunisti, e una clandestina con vescovi nominati dal Vaticano, ma che appena scoperti vengono messi in prigione.

Una situazione sanata poi dall’accordo durante il pontificato di Francesco?

Si è andati avanti così fino all’accordo di papa Francesco, nell’ambito del quale vengono accettati anche i vescovi della chiesa patriottica, anche se sposati o con l’amante. Da quel momento in poi i vescovi vengono nominati dal partito insieme al Vaticano. Nei luoghi di culto, però, succede che vengano proposti come predica dei discorsi di Xi o che si sostituiscano pellegrinaggi mariani con pellegrinaggi alle tombe degli eroi del Partito comunista cinese. L’intesa può aver dato un’impressione di normalità, ma ha portato a un’emorragia di fedeli in direzione delle Chiese protestanti clandestine.

Come è stato accolto l’accordo inizialmente dai cattolici?

Molti cattolici della ex Chiesa clandestina si sono rifiutati di aderire a quella patriottica, è nato il fenomeno massiccio degli obiettori di coscienza, che hanno organizzato interi seminari. Per il Vaticano non vanno incoraggiati, ma non sono neanche scomunicati: in un documento del 2019 si chiedeva di trattarli con rispetto e comprensione, anche se poi se vengono scoperti finiscono dentro accusandoli di essere ribelli anche rispetto al Papa.

Ma le nomine dei vescovi ora almeno sono davvero congiunte?

Le nomine sono concordate, anche se poi non è sempre così. Il Papa ha saputo dalla stampa del nuovo vescovo di Shanghai. La ratifica di questa nomina è stata tenuta in sospeso, poi Roma ha dato il placet. I risultati dell’intesa sono pessimi da diversi punti di vista: nelle pubblicazioni della Chiesa patriottica non ci sono mai riferimenti a documenti pontifici, quelle che vengono implementate sono le direttive del partito. Non condivido, comunque, i giudizi durissimi sul tipo di quelli del cardinale Zen di Hong Kong, ne capisco l’amarezza ma non parlerei di una logica di tradimento: siamo di fronte a una strategia rischiosissima, che si pensa possa dare frutti nel lungo periodo. La Santa Sede sa che Xi passa, ma il Vaticano resta, anche se nessuno può garantire che all’attuale presidente cinese ne segua uno più moderato. Nel frattempo, tuttavia, si crea malumore, soprattutto tra i cattolici fedeli nella clandestinità per decenni.

L’accordo però è stato rinnovato anche per loro.

Era difficile non rinnovarlo perché in conseguenza dell’intesa un numero significativo di cattolici clandestini si sono fatti avanti, partecipando alla vita delle parrocchie. Se la Santa Sede ora dicesse che l’accordo non ha funzionato, non possono tornare alla clandestinità, la polizia ormai li conosce.

Ma la Cina come è messa veramente quanto alla libertà religiosa?

Per le cinque religioni ufficiali (non gli ebrei che non sono riconosciuti, tanto che l’unica sinagoga è stata chiusa) c’è libertà di culto, anche se con limitazioni per i minori di 18 anni, che non possono partecipare a Messe, riti o al catechismo. Le prediche seguono gli schemi del Partito comunista cinese. Certo, nei tour organizzati dal regime si fa vedere che le chiese (patriottiche) sono aperte, ma si viene accolti da un inno comunista. Vale anche per le altre religioni. Le moschee in cui l’imam sostiene che bisogna obbedire a Xi sono aperte.

Ma cosa si può fare allora nelle chiese?

Il Vangelo lo leggono, anche se si minaccia di fare delle edizioni ad usum Delphini, come sta avvenendo per il Corano. Le chiese sono aperte, solo che devono giocare il gioco del Partito, altrimenti rischiano provvedimenti di chiusura o demolizione e l’arresto del personale. Non voglio dire neppure che tutti i preti della chiesa patriottica siano cattive persone, sono talora degli agenti del partito, ma in altri casi sono preti e vescovi che hanno deciso che il potere è troppo forte, che si può stare in clandestinità per qualche anno ma poi si finisce in un campo di lavoro e così i fratelli non possono più accostarsi ai sacramenti.

Si fa buon viso a cattivo gioco, adattandosi al sistema?

Mi è rimasto impresso il caso di un prete che durante un’inondazione, per evitare che si bagnasse il Santissimo Sacramento, è salito in cima alla chiesa venendo travolto comunque dall’acqua. Era un prete della Chiesa patriottica, evidentemente ci credeva, ma aveva deciso di adattarsi. Insomma, c’è chi ha calcolato che è meglio così, predicando qualche volta la gloria di Xi Jinping, ma assicurando la chiesa aperta ai fedeli.

Ma c’è un controllo così serrato sulle attività della Chiesa?

In quasi tutte le chiese e canoniche sono stati installati dei microfoni. Il controllo è molto stretto. C’è chi è riuscito perfino a organizzare dei seminari clandestini, dei quali però siamo venuti a conoscenza in seguito a comunicati della polizia.

(Paolo Rossetti)

 

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