Un vescovo, monsignor Shao Zhumin, sette sacerdoti e dieci seminaristi arrestati e poi messi ai domiciliari per la consueta “rieducazione politica”. E’ accaduto in una struttura che risultava ufficialmente una fabbrica, ma che in realtà era un seminario della Chiesa clandestina cinese a Shaheqiao (Hebei) nello Xinxiang. Almeno cento poliziotti hanno fatto irruzione nell’edificio. La prefettura apostolica di Xinxiang non è riconosciuta dal governo cinese. Per questo tutte le attività di sacerdoti, seminaristi e fedeli “sono considerate ‘illegali’ e ‘criminali’”, ha fatto sapere l’agenzia AsiaNews.



Tutto questo davanti all’Accordo tra Vaticano e Cina stipulato nel 2018 e rinnovato per altri due anni a fine 2020, che, nonostante il testo sia segreto, riguarderebbe esclusivamente la nomina dei vescovi. Con l’arresto del prelato riconosciuto dalla Santa Sede ma non dal governo cinese, ha commentato padre Bernardo Cervellera, “le premesse dell’Accordo sono state stracciate”. “Dal mio punto di vista non rendere pubblico il testo di quell’Accordo” ci ha detto Massimo Introvigne, sociologo e fondatore del Cesnur, “è un errore che porta a speculazioni di ogni tipo. Per quanto ne sappiamo, lo scopo era quello di far sì che le due Chiese esistenti in Cina, quella governativa e quella clandestina fedele al Vaticano, si riunissero in una sola Chiesa, cosa che a tutt’oggi non si è verificata, così come non si sono fermate le persecuzioni nei confronti dei cattolici”.



Un’azione di forza inaspettata, quella compiuta dal governo cinese nei confronti di questo seminario clandestino e del vescovo Shao Zhumin. Come mai, secondo lei?

Un’azione che dimostra come in Cina il processo che nel 2018 la Santa Sede e il governo di Pechino speravano di portare rapidamente a compimento non si è compiuto.

Cosa non ha funzionato?

Fino al 2018 in Cina c’erano due chiese, una patriottica, che il governo considerava legittima ma il Vaticano considerava illegittima, e una Chiesa clandestina, che il governo considerava illegittima e il Vaticano legittima. Nel 2018 è stato stipulato un accordo rimasto a tutt’oggi segreto.



Cosa speravano di ottenere con questo accordo?

Speravano di riunire le due chiese in una sola attraverso il perdono dei vescovi patriottici, quelli nominati dal regime, che erano stati scomunicati, compresi quelli con una vita notoriamente immorale, e parlo di vita sessuale non di ideologia comunista, e la loro reintegrazione nella Chiesa cattolica. Arrivare così a una chiesa unita, dove i vescovi fossero sempre selezionati dal Partito ma consacrati dal Vaticano.

Il Segretario di Stato, cardinale Parolin, ha sempre detto che l’accordo riguarda esclusivamente la nomina dei vescovi, è così?

Certo. A parte che dell’accordo ogni tanto vengono date informazioni contraddittorie, perché nessuno lo conosce, tranne un numero ristrettissimo di persone, tra cui appunto il cardinale Parolin. È chiaro, però, perché lo ha scritto anche l’Osservatore Romano, che lo scopo era che vi fosse una sola chiesa. Presupponeva il fatto che il Vaticano accettasse i vescovi patriottici, ma che Pechino accettasse i vescovi clandestini.

Questa seconda parte non si è verificata, visto quanto è accaduto. Perché?

Perché in parte la Cina diffida di chi è stato clandestino e in parte perché i clandestini non vogliono confluire nella chiesa patriottica. Questo, anche se il Vaticano dice che è possibile farlo, non è obbligatorio, come si evince da un documento del 2019, in cui si dice appunto che è possibile farlo ma non si può essere obbligati. Il Vaticano non vuole obbligare nessuno ad aderire alla chiesa patriottica, può consigliarlo ma senza imporre nulla. Così è nato un fenomeno, secondo me non previsto dal Vaticano, di massiccia obiezione di coscienza.

Cioè i clandestini vogliono rimanere tali?

Il Vaticano non si aspettava che un certo numero di vescovi e molti sacerdoti e fedeli preferissero continuare a rischiare la persecuzione piuttosto che aderire a una associazione in cui dovevano dichiarare la loro lealtà al regime e poi far sì che anche la loro vita religiosa, a cominciare dalle omelie, si tenesse sulla base di indicazioni impartite dal regime.

E’ stato quindi un errore da parte del Vaticano firmare questo accordo?

Personalmente non sono mai drastico nei giudizi. Credo però che sia un errore tenere segreto il testo dell’accordo, perché ciò alimenta le speculazioni più fantasiose a destra come a sinistra. Ci sono stati tre anni di polemiche sull’opportunità o meno di rendere pubblico quel testo. Quando l’anno scorso è stato rinegoziato l’accordo, ho suggerito in diversi articoli la necessità di convincere i cinesi e il Vaticano a renderlo pubblico. Secondo me, è un errore mantenere il testo segreto: in una situazione di così forte polemica tra Cina e mondo democratico aumenta solo le speculazioni.

Quindi, che previsioni si possono fare?

Nel breve periodo non si vede alcun vantaggio per la Chiesa cattolica, ma sappiamo che il Vaticano, a differenza delle democrazie che rispondono a governi elettivi, ragiona in termini di lungo, lunghissimo periodo. Per sapere se questo accordo potrà dare dei frutti nel lunghissimo periodo bisognerebbe conoscerlo e anche conoscendolo rimane una materia altamente speculativa. La situazione dei cattolici in Cina non è migliorata, così come è peggiorata quella di tutte le religioni. Buoni frutti non si vedono.

(Paolo Vites)

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