Non è stato “un piccolo errore umano” a determinare alcuni giorni fa l’invasione dell’acqua alta nella città di Venezia, come in molti hanno definito l’accaduto. Un errore umano che non avrebbe permesso di capire le previsioni meteo e di non far scattare in tempo l’innalzamento del Mose, la diga che deve proteggere Venezia e che solo quest’anno, dopo circa un ventennio di ritardi, sta cominciando a lavorare. Paolo Costa è stato rettore dell’Università Ca’ Foscari, sindaco di Venezia, ministro dei Trasporti nel primo governo Prodi e infine presidente dell’autorità portuale della città lagunare. Si tratta, come ci ha detto in questa intervista, “di una cosa che a livello nazionale non si è ancora capita: i lavori del Mose non sono ancora terminati, ma una cosa più importante è che non sono stati completati i lavori per lo spostamento del porto a causa di alcuni gravi errori. Questa mancanza obbliga ad aprire il Mose, come è successo quel giorno, per far passare alcune imbarcazioni, perché se si ferma anche il porto, Venezia muore: il porto di Venezia è un nodo cruciale da cui dipende lo sviluppo di tutta l’area lagunare e, indirettamente, dell’intero Nord-Est”. Stessa cosa ha detto anche il commissario straordinario al Mose, Elisabetta Spitz: “I lavori non sono ancora terminati”. Capiamo allora di cosa si tratta.



Ci sono molte polemiche per il mancato funzionamento del Mose che ha permesso di nuovo, dopo che sembrava che il problema fosse superato, l’allagamento di Venezia. Ci si lamenta, ad esempio, che 130 centimetri di acqua alta siano troppi per poter alzare la diga, è così?

La decisione di raggiungere la quota di 130 centimetri per alzare il Mose è una decisione che è stata presa solo ultimamente, il progetto originale prevedeva i 110 centimetri. Qualsiasi quota si metta, comunque, siccome le previsioni sono previsioni, non sono certezza, occorre lasciare un intervallo che era stato definito di 10-20 centimetri. In questa fase sperimentale – perché questo molta gente non l’ha capito, che il Mose è ancora in fase sperimentale – siccome non si è ancora risolto il problema del porto, cerchiamo di usare il Mose di fronte a danni eccezionali, cioè oltre i 130 centimetri. Ma, ripeto, il progetto prevede che la quota iniziale fosse di 110.



Infatti molta gente, a partire soprattutto dai commercianti, sostiene che con 120 centimetri la città è già invasa dall’acqua alta.

Bisogna dire che fino a 110 centimetri sono previsti altri metodi, sono stati realizzati rialzamenti degli edifici e camminamenti. Dopo i 130 centimetri entra in azione la barriera.

L’anno scorso, quando ci fu il disastro dell’acqua alta a Venezia, lei ci disse che il Mose era stato pensato per gli eventi straordinari, non per l’acqua alta. Non le sembra un approccio insufficiente?

Perché era previsto che gli eventi non estremi fossero già coperti dalle altre misure previste. L’altro giorno è successo che si era immaginato 130, ma l’errore è stato che non si è tenuto conto che si poteva sbagliare un po’ più sotto o un più sopra e purtroppo è stato più sopra, per via del vento che fa quello che vuole. Non si può sapere fra due giorni se ci sarà la bora o se il mescolamento di bora e scirocco produce questo o quello. Ancora non si può.



Ha accennato al problema del porto. Di cosa si tratta?

Al momento chiusure troppo frequenti della diga danneggerebbero l’attività portuale. Il giorno prima, infatti, si era abbassato il Mose per far passare alcune navi, non tutte. Nel progetto iniziale era previsto che del porto non ci si sarebbe dovuti occupare, perché le navi sarebbero dovute passare attraverso una conca di navigazione costruita appositamente.

Invece?

La conca non funziona, è stata fatta male, si è rotta una porta. Inoltre la conca era stata pensata nel 1990, quando le navi erano molto più piccole; oggi, anche se funzionasse, non consentirebbe di far passare le navi più importanti come le portacontainer.

Quindi? Cosa si pensa di fare per risolvere il problema?

Si pensava che aver fatto la barriera avrebbe risolto tutto, mentre non si è pensato come salvare San Marco con interventi speciali e separare i destini della diga dal porto. La situazione sarebbe cambiata con il progetto della piattaforma offshore, il Voops, per le imbarcazioni. Con quella piattaforma non ci sarebbe bisogno di discutere se 110 o 130 centimetri. Siamo a metà strada, non abbiamo completato il Mose, il pericolo adesso per salvare la città è che si uccida il porto. Ma senza porto Venezia muore economicamente.

(Paolo Vites)