Se l’annuncio fosse arrivato un anno fa sarebbe stato perfetto per celebrare degnamente i 50 anni dal primo allunaggio umano; tuttavia, anche arrivando adesso, è un annuncio di notevole significato. È la conferma della presenza, peraltro non del tutto imprevista, di depositi di acqua sulla Luna e in quantità forse piuttosto rilevanti.
La conferma viene da ben due ricerche pubblicate sulla rivista Nature Astronomy che arrivano alla stessa conclusione attraverso due diverse indagini condotte con strumenti e metodi diversi e che rivelano ciascuna aspetti particolari dello stesso fenomeno.
La prima è una ricerca che non ha richiesto imprese spaziali particolarmente ardite. È stato sufficiente, si fa per dire, un Boeing 747 modello SP (Special Performances) appositamente modificato per il trasporto di SOFIA (Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy), un telescopio dal diametro di circa 2,5 metri dedicato all’osservazione dei poli lunari tramite la radiazione infrarossa. Viaggiando ad alta quota ma senza uscire dalla stratosfera terrestre, SOFIA ha preso di mira il cratere Clavius, uno dei più grandi crateri dell’emisfero meridionale della Luna, ed è riuscito a raccogliere una gran quantità di dati alle particolari frequenze dell’infrarosso. Analizzando quei dati Casey Honniball, un giovane borsista che sta svolgendo il post-dottorato presso il Goddard Space Flight Center della Nasa, ha ricavato un’immagine spettrale della Luna che contiene l’inequivocabile firma della molecola di H2O, cioè acqua. Tutti gli studi precedenti che già avevano ipotizzato la presenza di acqua non avevano potuto confermare l’ipotesi per mancanza di strumenti di osservazione adeguati.
Anche la seconda ricerca è tornata sui passi di uno studio precedente e in questa caso parliamo di imprese spaziali vere e proprie. Sul finire del secolo scorso sempre la Nasa, nell’ambito del Programma Discovery, aveva lanciato la missione Lunar Prospector per compiere una breve orbita polare attorno al nostro satellite e studiarne la superficie indagando sulla possibile presenza di depositi di ghiaccio. La missione ha avuto un esito tragico nel luglio 1999, con lo schianto della sonda sul cratere Shoemaker in prossimità del polo sud lunare.
Con più fortuna però ha operato il Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO), lanciato dalla Nasa nel 2009 e finalizzato alla conoscenza della superficie lunare in vista anche di future esplorazioni. I dati raccolti da LRO sono stati analizzati dai ricercatori del Laboratorio di Fisica spaziale presso l’Università del Colorado a Boulder, che hanno esaminato in particolare le cosiddette “trappole fredde”, cioè delle zone della superficie della Luna che ricevono poca o nessuna luce solare e possono conservare blocchi di acqua in condizioni ghiacciate. Se ne conosceva già l’esistenza; la novità è che queste formazioni ghiacciate potrebbero essere molto più numerose ed estese di quanto si pensasse. È presto per dirlo con certezza ma è sufficiente per offrire alle prossime missioni un obiettivo importante su cui indagare.
Entro il 2022 sarà la volta del Lunar Compact Infrared Imaging System (L-CIRiS), una missione della Nasa che andrà a fotografare da vicino la superficie della Luna usando gli infrarossi, evidenziando quindi le zone particolarmente sensibili al calore. Poi toccherà al più ambizioso progetto Artemis – sempre della Nasa ma con altri partner internazionali come l’Agenzia spaziale europea (ESA), la JAXA e la Canadian Space Agency (CSA) – che dovrebbe far sbarcare entro il 2024 la prima donna e un altro uomo sulla Luna e condurre esplorazioni a tappeto proprio nella regione del polo Sud lunare.
Se la presenza abbondante e facilmente accessibile di acqua sulla Luna sarà confermata, un grande traguardo sarà raggiunto, anzitutto di conoscenza: il nostro desiderio di conoscere l’ambiente in cui siamo posti ormai oltrepassa i confini del nostro pianeta, ci consideriamo a casa nostra in quella fascia del sistema solare che va da Venere a Marte passando per la Luna e di questo ambiente allargato stiamo procurandoci delle mappe sempre più realistiche. Stiamo anche ricostruendo sempre meglio la storia evolutiva dell’intero sistema e quei blocchi di ghiaccio disseminati nei crateri attorno al polo Sud lunare ci raccontano di bombardamenti di meteoriti e di impatti di comete sul nostro satellite in epoche remote: sono quegli impatti che hanno modellato il volto affascinante e misterioso della Luna e che hanno lasciato come regalo la preziosa sostanza che contenevano insieme a tutti gli altri elementi chimici.
Oltre alla maggiore conoscenza, la conferma della disponibilità di acqua risulterà di grande importanza per i progetti di colonizzazione della Luna, considerata come base di appoggio per futuri viaggi verso Marte. Per questi obiettivi però non basterà guardare i dati scientifici: i fattori in gioco e le implicazioni sono molteplici e pesanti. Se è comprensibile e giustificato l’entusiasmo per una scoperta, ben diverso è tradurre subito una conoscenza in una serie automatica di conseguenze applicative, come se si “dovessero” fare certe azioni per il solo fatto che si “possono” tecnicamente fare.