C’erano una volta l’acqua granda e l’acqua alta, ma ancora mancava l’acqua verde, che è arrivata domenica mattina in pieno centro, ai lati e sotto Rialto. E mica quel verde sbiadito delle alghe domestiche che in laguna sono più o meno di casa, ma un bel colore fluorescente, assai “instagrammabile”, a detta dei turisti già con le braccia allungate dai supporti per gli smartphone per immortalare le duemila imbarcazioni remiere della Vogalonga, in sfilata proprio domenica (oltre 7mila partecipanti da 40 Paesi) nel tradizionale evento contro il moto ondoso.
Da dove è arrivato quel verde? Chi l’ha sversato? È stato un incidente o un atto voluto? Visto il degrado innocuo del fenomeno (il verde è svanito in poche ore, dissolto proprio da moto ondoso e maree), sarebbe bello se rimanesse un mistero, una pennellata colorata su una città-museo che accumula affollamenti e fuga dei residenti, facendo dimenticare, nella frenesia delle visite lampo, la sua sostanziale fragilità, l’essere costruita su pali di legno, la sempre più difficile convivenza con il vero padrone dell’ambiente: quell’acqua improvvisamente passata all’evidenziatore domenica mattina.
Per chi invece i misteri li vorrebbe sempre risolti, le ipotesi più accreditate sul tavolo variano dall’atto di Ultima generazione (ma gli ambientalisti negano, e quindi se un atto eclatante resta senza mittente a chi può giovare attirandone l’attenzione?), allo scherzo compiuto da un equipaggio di un’imbarcazione, ad un’installazione artistica (vi stupite? E allora la celebre “merda d’artista” del ’61? O la tela di Bansky battuta all’asta due anni fa ma immediatamente dopo autodistrutta), alla creazione scenografica di un fanatico dei selfie (immaginate il “valore” di uno scatto all’acqua veneziana fluorescente), allo sversamento accidentale di un liquido tracciante, quello facilmente acquistabile online per poche decine di euro e utilizzato per individuare perdite nei sistemi idrici (ma è difficile immaginare idraulici al lavoro la domenica mattina a Venezia).
Gli esperti stanno studiando e analizzando, ma già concordano nel sostenere la non tossicità del prodotto usato: a Venezia i pesci e i turisti tuffatori (l’ultimo è stato immortalato dai telefonini e reso celebre sul web il 24 marzo scorso) ringraziano. Nel frattempo, l’acqua del Canal Grande ha ripreso il suo non-colore abituale, smosso solo da quel moto ondoso generato dal traffico acqueo che dal 1974 le Vogalonghe contestano (anche la Voga-color-longa di domenica), senza risultati evidenti.
Sarebbe bello, dicevo, che restasse nella storia veneziana anche questo romantico mistero, favoleggiato dai social e citato nelle reputation passaparola dei turisti. Il problema, però, è che quello che succede a Venezia, nel bene e nel male, solitamente all’istante fa il giro del mondo. In questo caso il “male” non è più di tanto, ma l’effetto emulativo resta dietro l’angolo, e non è accettabile l’idea di turisti in arrivo armati di smartphone e sacchettino di fluorescina, per trasformare rii e canali veneziani in improvvise tavolozze-quinte fluo. Quindi, se non venisse individuata una genesi colposa (un incidente) dell’acqua verde di domenica, bisognerebbe imputarla ad un atto volontario, che rimanendo senza autore lascerebbe campo aperto per eventuali bis. Allora, esperti, studiate e analizzate, e possibilmente spiegateci chi, come e perché, in tempo utile per evitare il bis. Grazie.
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