Ad Haiti la situazione è sempre più catastrofica. Sono diciassettemila le persone in fuga, con cadaveri in strada e intere zone di Port-au-Prince senza più acqua potabile né cibo. La guerra, cominciata con la “rivolta delle gang” riunite insieme contro il governo, ha portato alle dimissioni del presidente e ha gettato il Paese nel caos totale. La Chiesa italiana, però, non abbandona l’isola caraibica. In un dossier appena pubblicato dal Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli e l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana (Cei), si legge: “Il momento è difficile e, così come in ogni situazione di emergenza, non sempre è possibile assicurare come si vorrebbe la nostra vicinanza, ma proprio per questo dobbiamo tenacemente andare in questa direzione e moltiplicare gli sforzi per sostenere persone, organizzazioni e comunità che continuano a seminare e che si pongono al servizio dei più poveri alimentando una cultura della cura e delle relazioni solidali”.



Nell’intervista contenuta all’interno del rapporto e riportata da Avvenire, il cardinale Langois analizza più approfonditamente la situazione. “Già lo scontro tra bande armate può essere definito come una guerra civile, perché si tratta di civili armati che si uccidono a vicenda per conquistare territori. Inoltre, queste bande armate infieriscono contro una popolazione disarmata. Uccidono, violentano, rubano, bruciano e provocano centinaia di migliaia di sfollati. Infine, in alcuni quartieri, i residenti, presi dalla paura, si organizzano erigendo barriere di ogni tipo e usando le armi per proteggersi da queste bande armate. Sono tali considerazioni che spingono la Conferenza episcopale haitiana a lanciare questo grido di allarme” spiega.



Cardinale Langlois: “Crisi alimentata anche da attori internazionali”

Nel contesto attuale di Haiti vi è una situazione di grande difficoltà degli attori e dei partiti politici che non riescono a trovare un accordo. Secondo il cardinale Langois “a tutto ciò si aggiunge il fatto che questa crisi è alimentata anche da attori internazionali. Dubito fortemente che un Consiglio di transizione possa aiutare a risolvere questa crisi se non ci sarà una presa di coscienza degli attori politici, una conversione delle persone, un’unione dei figli e delle figlie del Paese attorno ad un piano di salvezza nazionale. Questo richiederà anche un forte sostegno da parte della comunità internazionale”. Il primo passo, secondo il religioso, deve essere lo svolgimento delle elezioni. “Questa sarà anche una delle priorità del Consiglio di transizione con tutto ciò che comporta come prerequisiti o requisiti. Ma la priorità assoluta in questa crisi è senza dubbio la sicurezza della popolazione contro le bande armate. È catastrofico e terrificante ciò che queste bande armate ci stanno facendo passare ad Haiti. C’è chi definisce il Paese come una prigione a cielo aperto” spiega nel report Cei.



Il tipo di assistenza di cui Haiti ha bisogno è di “ricevere il supporto e i mezzi adeguati per ripristinare la sicurezza, assicurare stabilità, proteggere vite umane e proprietà. Il Paese ha bisogno di ristabilire l’autorità statale attraverso il rafforzamento delle istituzioni democratiche. Occorrerà anche contribuire a creare occupazione e lavoro, affinché gli haitiani possano vivere con dignità grazie ai frutti del loro lavoro” spiega il cardinale. Anche la Chiesa ad Haiti è colpita dalla violenza, evidenzia Avvenire: “È diffusa l’idea che le nostre istituzioni e i loro leader, in questo caso i sacerdoti, i religiosi e le religiose, posseggano beni e denaro. La povertà è così evidente che anche un’opera ecclesiale, come una chiesa o una scuola, costruita per durare o resistere nel tempo, può essere vista da alcuni individui come un luogo dove si nascondono fortune, mentre queste opere ecclesiali sono al servizio della popolazione. In sintesi, è proprio perché la Chiesa è così presente e fa tutt’uno con la popolazione che è colpita anche da questa violenza che non risparmia nessuno”.