“Volevo diventare uno dei Beatles ma poi mi resi conto che non sapevo cantare”. In queste parole sta tutta la disarmante semplicità, l’onestà, la purezza di Daniel Johnston. Adesso che non c’è più si sprecano le etichette che non significano nulla tipo “pioniere del lo-fi”, quel genere venuto di moda negli anni 90, dischi incisi in cameretta da ragazzini brufolosi con la noia della vita, mal registrati, osannati dalla critica per il loro essere “alternativi”. O anche “cantante outsider”. Daniel Johnston non era alternativo a un bel niente, tanto è vero che sognava i Beatles, il gruppo di massimo successo al mondo, e se era fuori dai grandi giri musicali non era per sua volontà ma perché malato. Daniel Johnston ispirò suo malgrado una generazione perché lui la chitarra non la sapeva davvero suonare, ma siccome non poteva fare a meno della musica, se ne fregava e si incideva a casa sua cassettine che poi vendeva per strada. “Senza la musica la vita sarebbe un errore” diceva Nietzsche, e per lui, schizofrenico bipolare, la musica gli ha permesso di vivere con dignità umana fin in fondo. La povertà espressiva di Johnston era totalmente spontanea, non c’era niente di artefatto.
La sua salute mentale quando finalmente la sua musica uscì dall’underground dove era nascosta e cominciò a circolare in tutto il mondo, produsse un fenomeno altamente disturbante. Difficile dire quanti andassero a vederlo per genuina passione per la sua musica o per il desiderio voyeuristico e morboso di andare a vedere “un matto che canta”. Quando finalmente firmò una major, dopo una battaglia discografica per accappararselo (sempre all’insegna del “matto è bello” e soprattutto attira l’attenzione) Johnston si trovava in un ospedale psichiatrico dove era stato rinchiuso dopo che aveva rimosso le chiavi dall’accensione dell’aereo che il padre stava guidando causando un incidente, episodio che nessuno ha saputo dire se involontario o voluto, nella sua follia.
Ma Daniel Johnston era un genio musicale: le sue canzoni alternavano filastrocche infantili a brani squisitamente pop che avrebbero fatto il successo di qualsiasi altro cantante a oscuri episodi rumoristici quasi impossibili da ascoltare. Volete sapere davvero cosa passa nella mente di uno schizofrenico? Eccovi serviti. Ma lui non lo faceva per mettersi in mostra. Come quasi tutti gli schizofrenici, era consapevole del suo stato mentale. Ne scriveva nelle sue canzoni, in attimi di lucidità e consapevolezza impressionante: “Potrebbe succedere a te, potresti essere al mio posto”, avvertiva l’ascoltatore, “Non sono sempre stato così, non vengo mai (…) Sono così solo ma questa è casa mia e i bar che mi circondano mi tengono lontano da conoscere meglio sono come una scimmia nello zoo”. Nei centri di salute mentale che frequento per motivi familiari, mi è capitato spesso di ascoltare pianisti strepitosi, eccezionali, gente che quando poi si alza non è in grado di cambiarsi le mutande da soli.
Scoperto, amato e rispettato dalla generazione grunge, da Kurt Cobain, che si esibiva regolarmente con una maglietta con su la copertina del suo primo disco, Hello, How Are you (ciao come stai) a Beck e poi i Wilco, Johnston divenne una figura culto. La sua True Love Will Find You in the End venne incisa da questi artisti e nella versione originaria divenne in Inghilterra la colonna sonora di una campagna pubblicitaria di beneficenza per gli animali. Il disco tributo del 2004, The Late Great Daniel Johnston, ospitava artisti come Mercury Rev, Tom Waits, Eels, the Flaming Lip, Bright Eyes. Suonò con gli Swell Season di Glen Hansard, Jason Pierce degli Spiritualized tenne un concerto tributo delle sue canzoni e addirittura Lana Del Rey ha inciso un suo pezzo, Some Things Last a Long Time.
Daniel Johnston resterà come una meteora nella storia della musica, un uomo buono che aveva trovato grazie alla musica la possibilità di sfuggire per un po’ i demoni che lo sbranavano. “I’m glad God made me/ because I love the stars/ and I love the moon/ and I love the Earth too/ I love the God/ that made all these things”: “sono felice che Dio mi abbia fatto perché amo le stelle amo la Terra e amo Dio perché ha fatto tutte queste cose”. Chi di noi “sani” sa dire altrettanto, esprimere tanta gratitudine per una vita, la sua, che appare come un errore, uno scarto perché non corrispondente ai canoni di successo e fortuna che questo mondo ci ha instillato nel dna? Il suo addio pieno di ottimismo e di tenerezza era stato scritto molto tempo fa: “Il vero amore ti troverà alla fine Scoprirai solo chi era tuo amico Non essere triste, so che lo farai Ma non mollare fino a quando Il vero amore ti troverà alla fine Questa è una promessa con un trucco Solo se stai cercando può trovarti Perché anche il vero amore sta cercando Ma come può riconoscerti A meno che tu non esca nella luce, la luce Non essere triste, so che lo farai Ma non mollare fino a Il vero amore ti troverà alla fine”.