Prima del concerto nel cimitero monumentale di Bergamo per le vittime del coronavirus, il direttore artistico del festival Donizetti Opera Francesco Micheli leggerà l’“Addio ai monti”, brano tratto da tratto da I promessi sposi, l’opera certamente più importante e conosciuta di Alessandro Manzoni (1785 – 1873) dove il dramma storico e umano di Renzo e Lucia viene narrato all’interno di una pandemia. «È un momento che possiamo definire simbolico perché è il momento tramite il quale la città di Bergamo vuole dare  un saluto che durante il tempo del coronavirus non  si è potuto dare ai defunti», ben racconta don Mattia Magoni, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Bergamo a Vatican News.



La scelta della Fondazione Donizetti di cominciare il concerto della Messa da Requiem con l’inno manzoniano testimonia proprio la volontà poetica ma anche drammatica di rappresentare quel’”addio” triste e sofferto come però passo non “definitivo” ma come anticipo di una storia di speranza che poi “I Promessi Sposi” hanno rappresentato grazie al genio manzoniano. “L’Addio ai monti” è forse il passo più famoso dell’opera di Manzoni, nonché il più profondo dal punto di vista poetico: vi è un elemento che incupisce il procedere “bucolico” del passo, la presenza di don Rodrigo, la cui ombra aleggia su tutti i pensieri di Lucia: è proprio la vista del palazzotto del signore del luogo che fa rabbrividire la giovane “promessa sposa” e la fa piombare in un profondo sconforto, sfogato nel pianto.



IL SIGNIFICATO DEL PASSO DI MANZONI

“Addio ai monti” si inserisce all’interno del VIII Capitolo dei Promessi Sposi quando in una notte profonda Renzo e Lucia su indicazione di Fra Cristoforo abbandonano il paese natale per poter sfuggire alle mire diaboliche di Don Rodrigo che intende prenderla in sposa annullando l’agognato matrimonio con il “promesso” Renzo. Manzoni in questo passo riporta i pensieri della giovane che piange nel pensar di non rivedere mai più i luoghi della sua vita vissuta fin lì: da un lato il terrore per la perdita dall’altro l’insicurezza per il futuro, rappresentano un “Addio ai monti” che per molti versi può essere paragonato alla situazione che oggi la città di Bergamo vivrà davanti ai quei cari defunti persi nel modo più atroce. Il tema centrale del passo manzoniano è quello del difficile distacco dalla terra natìa e della delusione che sempre accompagna l’emigrante: si lascia ciò che si ha di più caro per un futuro incerto.



Ecco che l’impianto del racconto di Manzoni, come del resto la realtà di una pandemia così terribile e con conseguenze nefaste per diverse generazioni a Bergamo e non solo, rimarrebbe nell’antro di un incubo senza fine: invece nell’Addio ai monti si fa largo, con una inizialmente piccola “presenza” quella Provvidenza che poi diverrà la vera protagonista del “futuro” dei promessi sposi. Nella chiosa finale sii ricorda infatti il Dio che predispone le sofferenze degli uomini solo in vista di un bene e di una gioia «più certa e più grande», concetto di fatto centrale dell’intera trama dell’opera (e forse non solo di quella).

IL TESTO DI “ADDIO AI MONTI”

Ecco dunque di seguito il testo integrale del passo “Addio ai monti” di Alessandro Manzoni questa sera letto prima del concerto per le vittime di coronavi nel cimitero di Bergamo: «Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell’ampiezza uniforme; l’aria gli par gravosa e morta; s’inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.

Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande».