Cresce il disagio della Meloni verso la riforma del premierato. È facile capire perché. La Presidente del Consiglio ha capito benissimo che il referendum (inevitabile) sulla deliberazione costituzionale delle Camere finirebbe con l’essere un referendum tra lei e Mattarella e, per quanto gradita possa essere all’opinione pubblica, Mattarella lo è di più.



Per un periodo è stata avanzata l’ipotesi di spostare l’approvazione del premierato alla legislatura successiva, ammesso che quella attuale si concluda regolarmente nel 2027, in modo da aspettare il cambio al Quirinale. Ma può un leader e premier forte presentarsi agli elettori senza un nulla di fatto, dopo avere chiesto un mandato sul presidenzialismo?



Evidentemente non si può sfuggire in questa legislatura ad una conclusione sul tema della forma di governo e della nuova legge elettorale; due questioni che sono diventate una costante del dibattito pubblico da più di trent’anni. Nel 1993 la modifica della Costituzione della Commissione Iotti-De Mita fu alla fine scambiata con il Mattarellum; nel 1997 fu la volta della Commissione D’Alema, con la proposta di semipresidenzialismo, abbandonata dopo il forfait di Berlusconi; nel 2005 il centrodestra approvò una riforma costituzionale che affondò nel referendum costituzionale del 2006, ma al contempo modificò profondamente la legge elettorale per opera di Calderoli, che definì la sua legge un “porcellum”, un sistema elettorale che non resse al controllo di costituzionalità e che fu dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 1 del 2014. Di lì a poco sarebbe stata la volta di Renzi: il rottamatore propose una forma di governo del primo ministro, basata su un sistema elettorale fatto apposta per restituirgli un Parlamento su misura. Sappiamo tutti come è finita: la legge costituzionale cadde nel referendum del 4 dicembre 2016 e la legge elettorale, l’Italicum, venne bocciata dalla sentenza n. 25/2017 della Corte costituzionale.



Tutte riforme fatte per bramosia di potere e pensando ad un tornaconto personale delle quali il corpo elettorale diffida apertamente. La soluzione? Non potendo avere ciò che si vuole, non restava che distruggere in modo diverso la democrazia italiana: ed ecco la riduzione del numero dei parlamentari e l’adeguamento di una legge elettorale sconclusionata come il Rosatellum, che contiene tutti i meccanismi elettorali e al contempo li deforma tutti.

Con questi due ultimi passaggi stiamo finendo nel baratro di una “postdemocrazia”: si mantengono le forme di una democrazia elettorale, ma se ne disperde la sostanza democratica, fatta di rappresentanza vera e legittima, di collaborazione anche tra maggioranza e opposizione e di condivisione del bene comune.

Quando perciò la Meloni, durante la campagna elettorale del 2022, invocò il presidenzialismo sembrò che volesse mettere fine al degrado del sistema politico-istituzionale italiano e il consenso le arrise sicuramente non per questo motivo, ma anche perché l’idea del presidenzialismo sicuramente ha contribuito a costruire la sua immagine di leader decisionista e politicamente efficiente.

Solo che il premierato non è il presidenzialismo, ma una deformazione del sistema parlamentare che distrugge la democrazia parlamentare, anzi il parlamentarismo in quanto tale, introducendo nel concetto di rappresentanza politica la filosofia dell’acclamazione del capo. Che cosa c’entra il premierato con il presidenzialismo? Nulla. Il presidenzialismo si basa sulla doppia legittimazione popolare, il premierato su quella del solo Premier. Il presidenzialismo presuppone e istituisce un equilibrio forte e dinamico tra il Presidente e il Parlamento; il premierato squilibra e annienta il Parlamento consegnandolo nelle mani del Premier. Il presidenzialismo rispetta la rappresentanza politica come determinata dal corpo elettorale, il premierato è costretto a distorcere il risultato elettorale con un meccanismo di assegnazione dei seggi che tocca l’eguaglianza del voto.

È evidente che l’intervento di Mattarella di mercoledì, alla cerimonia di apertura della 50esima edizione della Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, deve avere fatto venire un brivido alla schiena della Presidente Meloni. Il Presidente della Repubblica, che è la prima carica dello Stato, ha fatto uso del suo potere costituzionale di esternazione per mettere in evidenza i pericoli che corre al momento la nostra democrazia con la premiership della Meloni.

La Meloni sembrerebbe avere capito che un eventuale esito negativo del referendum non potrebbe proprio risolversi con un romanesco “chissene” importa. È effettivamente così, e abbiamo già spiegato perché. Motivo in più per cambiare rotta rapidamente e tornare alla sua idea originaria, quella del presidenzialismo.

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