Sono molti – e io, detto tra noi, io sono fra questi – a ritenere che Sir Stirling Crawford Moss (1929-2020) sia il più grande pilota fra quelli che non sono mai riusciti a vincere un titolo mondiale. Ma forse questa definizione è perfino riduttiva, dato il suo straordinario talento naturale accompagnato ad una determinazione senza pari e ad una generosità che ne facevano un vero idolo delle folle e, fino ad oggi, un grande ed autorevole personaggio.



Ed è per questo che la notizia che sir Moss ha lasciato questo mondo mi ha colpito particolarmente. Era un uomo unico, tutto d’un pezzo, profondamente inglese. Eppure anche europeo, internazionale. Il primo campione a varcare i confini nazionali in quanto a popolarità e seguito.

La sua carriera iniziò nel 1947 ad appena 18 anni con le corse in salita, quando sul suo capo proverbialmente scarsicrinito troneggiava ancora un vistoso ricciolo a banana. Fu subito costellata da una serie impressionante di vittorie, così come dal 1948 in F3 e F2. Non stupisce così che la folgorante ascesa del giovanissimo pilota di West Kensington – figlio di Alfred Moss, 14° alla 500 Miglia di Indianapolis del 1924 e fratello di Pat Moss, che diventerà una popolare “pilotessa” di rally spesso “in coppia” con il marito, il campione svedese Erik Carlsson – balzasse subito in cima ai taccuini delle principali scuderie britanniche dei primi anni 50.



Furono John Heath e George Abecassis che diedero a Moss la possibilità di entrare in F1 con il loro team HWM a poco più di 21 anni, un’età a quei tempi assolutamente inconsueta. Gli inizi non furono facili, e nonostante il suo passaggio alla Cooper nel ’53 e alla Maserati nel ’54, il suo talento straordinario stentava ad emergere. La stagione della svolta fu il 1955, quando Stirling entrò nella squadra Mercedes grazie all’intuito del grande Alfred Neubauer: non fu solo il primo dei suoi secondi posti nella classifica del campionato del mondo, ma soprattutto la stagione che ne forgiò definitivamente il talento all’ombra del grande “maestro” Fangio che Moss riuscì a battere di pochi metri dopo un incomparabile duello ruota a ruota durato tutta la gara nel GP di Gran Bretagna ad Aintree, sua prima straordinaria vittoria in F1.



Nel ’56, dopo il ritiro della Mercedes in seguito alla tragedia di Le Mans dell’anno precedente, Moss passò alla Maserati e fu ancora secondo nel mondiale dietro a Fangio. Nel ’57, allettato dall’idea di correre con una vettura inglese, passò alla Vanwall, ma finì ancora secondo in classifica sempre battuto dal grande argentino. La sconfitta più bruciante – ma che Sir Stirling, con fare molto inglese, ha sempre sportivamente accettato – fu però quella del ’58, quando nonostante quattro vittorie contro una, perse per mezzo punto il Mondiale a favore di Mike Hawthorn, penalizzato dal sistema di punteggio che, infatti, la Federazione Internazionale si affrettò a modificare proprio in seguito a quel campionato.

Oltre a Fangio, l’altro personaggio chiave della sua carriera fu Rob Walker, titolare della scuderia privata di gran lunga più vincente e blasonata che abbia mai calcato il palcoscenico dell’automobilismo, con cui Moss ebbe una profonda amicizia che andò ben oltre al rapporto professionale. Con Walker vinse sette GP, portando tra l’altro alle prime vittorie – ben in anticipo rispetto alle scuderie ufficiali – la Cooper e la Lotus. Ebbe un primo terrificante incidente nelle prove del GP del Belgio ’60 – quello funestato dalle morti di Alan Stacey e Chris Bristow –, dal quale uscì miracolosamente vivo seppur sotto shock. In preparazione alla stagione ’62 si presentò con una Lotus della Laystall Racing al Goodwood Meeting, durante il quale a causa di una incomprensione con Graham Hill ebbe un secondo gravissimo incidente che gli costò vari giorni di coma e una lunghissima convalescenza.

Quando tentò di tornare alle competizioni si rese conto di non avere più gli stessi riflessi e la stessa sensibilità degli arti e decise di ritirarsi. Si chiuse così, a soli 33 anni, la sua strepitosa carriera, che lo colloca nella stretta cerchia dei più grandi piloti di tutti i tempi; una carriera durante la quale vinse 212 delle 529 gare di varie categorie cui fu iscritto: fra queste la 12 Ore di Sebring del 1954 con una Cunningham, primo pilota non americano a conquistare la classicissima competizione a stelle e strisce; la Mille Miglia del 1955 a tempo di record sulla Mercedes con passeggero il giornalista e scrittore Denis Jenkinson; tre edizioni consecutive della 1000Km del Nürburgring dal ’58 al ’60, le prime con la Aston Martin e l’ultima con la favolosa Maserati Tipo 61 “Birdcage” in coppia con Dan Gurney. Finì anche secondo al Rally di Montecarlo 1952 su una Subneam-Talbot avendo come co-pilota nientemeno che John Cooper.

Stabilì vari irraggiungibili record, come quello di avere gareggiato con vetture di 84 marche diverse o di aver partecipato in una sola stagione a 62 corse, sovente più di una nello stesso week-end. Nel 1968 fu insignito dalla Regina del titolo di Ufficiale dell’Impero Britannico ed è stato fino all’ultimo uno degli animatori delle corse storiche inglesi. Sebbene si sia ritirato ufficialmente nel 1962, Moss fu per decenni uno dei principali animatori delle competizioni per vetture storiche, tanto che la sua ultima apparizione “ufficiale” in pista è datata 9 giugno 2011, quando ad 81 anni prese parte alle qualifiche della competizione Le Mans Legend.

Vera icona dell’automobilismo britannico, vero gentiluomo dai modi quasi d’altri tempi, Stirling Moss era l’ultimo dei grandi pionieri, l’ultimo di quella generazione eroica e un po’ incosciente di piloti che costituiva l’eccezionale umanità del mondo delle corse degli anni 50 e 60. Il simbolo di un’epoca oggi lontana ma incredibilmente affascinante. Addio, sir Stirling. I tuoi amici con cui avevi diviso trionfi e tragedie in vent’anni di pista ti accolgono in cielo. E quaggiù, l’automobilismo dei computer e dei simulatori resta un po’ più arido e un po’ più solo.