Adolescence è una miniserie (solo 4 episodi) apparsa su Netflix il 13 marzo, ma che ha già ottenuto un grande successo, sia per quanto riguarda il numero di visioni che per i giudizi della critica. Sicuramente un prodotto di altissima qualità, innovativo (nella sceneggiatura e nella regia), coinvolgente, con un cast di assoluto valore (praticamente lo stesso di A Thousand Bolws, di cui abbiamo parlato domenica scorsa). Ma il successo è da ricondurre, a mio avviso, alla straordinaria attualità del tema trattato: l’incomunicabilità tra adulti e adolescenti.
Tutto ha inizio una normale mattina, quando la tranquilla famiglia Miller, che vive nella sua casetta mono familiare nel Doncaster, riceve la visita inaspettata della polizia locale in assetto di guerra. Al comando c’è l’ispettore Bascombe (interpretato da Ashley Walters) con la sua collega, il sergente Misha Frank. Devono arrestare il figlio minore dei Miller, Jamie, di appena 13 anni. Jamie quando vede la polizia irrompere nella sua cameretta comincia a piangere e a urlare che “non ha fatto niente”. Ma è accusato di omicidio, anzi di femminicidio.
Il padre Eddie (interpretato da Stephen Graham, che della serie è anche l’ideatore) e la madre Manda (eccellente interpretazione dell’attrice Christine Tremarco), con la sorella maggiore Lisa, sono increduli e sconvolti, e lo seguono alla stazione di polizia per i primi adempimenti.
Jamie sceglie il padre come tutore legale, e quindi sarà lui a partecipare a tutti i passaggi a cui è sottoposto il figlio da indagato in stato di arresto, dalla schedatura alla visita medica, alla svestizione fino al primo interrogatorio. È in questo momento che Eddie prende coscienza di cosa è accaduto e in cosa è coinvolto il figlio.
La polizia esibisce foto dei movimenti del ragazzo della sera precedente, gli scambi di messaggi offesivi e minacciosi tra lui e la vittima sui social, fino al filmato in cui si vede chiaramente Jamie aggredire e uccidere ferocemente a coltellate la sua coetanea.
Da questo momento la serie si concentra su un tema solo: com’è possibile che gli adulti non capiscano nulla di quello che fanno gli adolescenti? Non ne capiscono il linguaggio simbolico usato attraverso i social. Non capiscono i segnali preoccupanti su come possono evolvere a quell’età le loro relazioni interpersonali. Di cosa i maschi pensano delle femmine e viceversa. La loro idea della sessualità. Di come non si fidano dei genitori e cosa fanno per escluderli dalla loro vita. Insomma, Adolescence è un duro atto di accusa su come gli adulti abbiano lasciato gli adolescenti a se stessi.
Si comincia ovviamente dalla scuola, dove tutto ha inizio. Un quadro desolante di una realtà che continuiamo a chiamare “scuola”, ma che non riesce a essere altro ché un luogo dove stazionano per molte ore adolescenti e adulti che si fregiano del titolo di insegnanti, ma ormai privi di qualsiasi strumento per intervenire e svolgere la loro funzione originaria di formatori.
Poi si passa a chi dovrebbe aiutare scuola e famiglia, cioè i professionisti della mente e della psicologia. Tocca alla dottoressa Briony Ariston (interpretata dall’attrice inglese più gettonata del momento Erin Doherty) cercare di capire Jamie, scandagliare la sua mente per conoscere cos’ha spinto il ragazzo a scambiare una compagna di scuola per la sua nemica. Ma fallisce miseramente, il ragazzo è un osso duro, la psicologa cede e deve concludere le sedute in lacrime.
E poi c’è la famiglia. Fino al momento in cui Jamie decide di confessare il suo omicidio, dopo 13 mesi, i genitori hanno sperato davvero che tutto non fosse mai accaduto. Legandosi a una briciola di speranza. Anche se il padre aveva visto quel filmato, mentre la madre no. Eppure i genitori, sorretti dall’aiuto della figlia rimasta a casa e forse l’unica in grado di leggere la situazione per quella che è, solo alla fine prendono atto che tutto è accaduto davvero, che c’è una loro grande responsabilità, per cui devono chiedere scusa. “Potevamo fare di più”, esclama il padre in lacrime nell’ultima scena, sul letto vuoto del figlio.
Una serie amara, dura, perfettamente in tema con quello che vediamo tutti i giorni e che non sappiamo spiegare, una realtà che ci circonda e che è sotto i nostri occhi, ma che continuiamo a non percepire per quello che è. Testardamente cerchiamo di usare vecchi schemi, vogliamo risolvere il problema con strumenti obsoleti e inefficaci. Ma la realtà sta prendendo il sopravvento, e occorre correre ai ripari.
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