Viareggio 1969 è il titolo del documentario in onda il 20 gennaio 2023 su Rai 3, dalle 21:20, che racconta l’atroce videnda che coinvolse il piccolo Ermanno Lavorini, rapito e ucciso all’età di 12 anni. Il caso vide finire Adolfo Meciani nel tritacarne di sospetti e gogna mediatica, ma era innocente e più volte, schiacciato dal peso di accuse infondate, avrebbe tentato il suicidio fino al drammatico epilogo della sua storia dopo un gesto estremo consumato in carcere. Arrestato e additato ingiustamente come “mostro”, nel pieno della prima grande caccia alle streghe delle cronache nazionali, Adolfo Meciani non avrebbe retto alla devastazione imposta alla sua esistenza da chi lo ha indicato come assassino sull’onda di una presunta “seconda vita” sbattuta in prima pagina.
Il documentario proposto dalla Rai, si legge nella presentazione ufficiale del titolo, ricostruisce il dramma di Ermanno Lavorini dal giorno del suo rapimento alla conclusione del processo per il suo omicidio che, in Cassazione, avrebbe portato alla condanna di tre persone in via definitiva escludendo da ogni coinvolgimento Adolfo Meciani. Ma per quest’ultimo ormai era troppo tardi. La narrazione di Viareggio 1969 affonda l’occhio in un’Italia alle prese con la tragedia del primo sequestro di un bambino nel Paese e di quella di Adolfo Meciani, un uomo come tanti finito nella rete del sospetto e morto suicida dopo essere stato destinatario di un processo mediatico senza precedenti, linciato sulla pubblica piazza perché ritenuto colpevole del delitto. La verità sarebbe emersa dopo la sua morte, seconda vittima di un orrore indicibile.
Chi è Adolfo Meciani, demonizzato da stampa e opinione pubblica
Ermanno Lavorini aveva appena 12 anni quando la sua storia di bambino si tradusse in un caso sconvolgente, vittima del primo sequestro di un minore nella storia delle cronache nazionali. Il piccolo sparì dalla sua abitazione di Viareggio il 31 gennaio 1969, uscito di casa in sella alla sua bici senza farvi ritorno. Quello stesso giorno, una telefonata anonima alla famiglia introdusse nella vicenda la richiesta di un riscatto aprendo a una caccia all’uomo che, ben presto, avrebbe macinato la vita di un uomo innocente, Adolfo Meciani, ingiustamente incolpato del delitto. Imprenditore, marito e padre, Adolfo Meciani sarebbe stato demonizzato da stampa e opinione pubblica finendo per essere arrestato, in una odissea sfociata nel suo suicidio. L’uomo sarebbe stato fermato due volte su indicazione di alcuni giovani che ne avrebbero ricondotto il profilo a quello di una persona dalla presunta “seconda vita”, fatta di incontri omosessuali in pineta e consumata all’ombra di un’esistenza confezionata ad arte per nascondere il suo presunto “segreto”.
Ma Afoldo Meciani era innocente e, nonostante la sua estraneità alla sparizione del piccolo Ermanno Lavorini, avrebbe rischiato il linciaggio e la sua vita sarebbe finita con un gesto estremo in carcere cui sarebbero seguiti il coma e infine la morte. Ermanno Lavorini fu trovato senza vita il 9 marzo seguente, per gli inquirenti ucciso nel contesto di una trama di “predatori sessuali” dietro le quinte della Viareggio bene, in testa la pista omosessuale e quella della pedofilia. Adolfo Meciani sarebbe stato catapultato nel fuoco investigativo attraverso i racconti di alcuni giovani che lo avrebbero indicato come responsabile del rapimento e dell’uccisione del 12enne, ma sarebbero stati gli stessi, secondo la ricostruzione finale, ad essere poi condannati per l’omicidio in via definitiva.
A rapire e uccidere Ermanno Lavorini non fu Adolfo Meciani. Stando alla giustizia, dietro il delitto si celavano i componenti di un circolo monarchico di estrema destra che, con un’azione eclatante come il rapimento di un bambino a scopo di estorsione, avrebbero voluto finanziare l’acquisto di esplosivi. I loro nomi sono Marco Baldisseri, Pietro Vangioni e Rodolfo Della Latta. In questa lettura degli eventi, il caso Lavorini avrebbe costituito una “prova” finita male di quella strategia della tensione che, il 12 dicembre seguente, sarebbe emersa in tutta la sua drammaticità con la strage di piazza Fontana a Milano.