È difficile accettare quel che succede oggi, quando il contesto sociale non interpreta in modo più solidale la maternità, soprattutto nelle giovani coppie, lasciate fin troppo sole. Eppure anche la legge 194 parla di tutela sociale della maternità e rimanda a vincoli di solidarietà che dovrebbero far sentire accompagnate, in mille modi diversi, le madri (e i padri) giovani, privi di esperienza, spesso soli nelle grandi città con infiniti ostacoli da superare. Con la consapevolezza che ogni figlio aumenta la complessità nella gestione familiare e sociale, allarga e dilata il gap economico, crea nuovi ostacoli.



Primo tra tutti la conciliazione dei tempi di vita di famiglia e di vita professionale. In alcuni casi anche la presenza di un bambino piccolo in un condominio è resa difficile dai vicini: non si possono lasciare le carrozzine nella hall a piano terra e meno che mai le biciclette quando sono un po’ più grandi. In città la Ztl, pur indispensabile per decongestionare il traffico, non consente di andare in centro con la macchina e salire su di un’auto con la carrozzina richiede sforzi titanici. Non si può giocare in cortile né a calcio né a qualsiasi altro gioco a palla, per cui diventa indispensabile portare i bambini in centri sportivi, o in laboratori musicali e artistici, ovunque, ma non in casa. Con evidente sovraccarico di fatica soprattutto per la madre, che vede tutto ciò come un deterrente rispetto ad altre gravidanze.



Non si può sottovalutare questa scarsa tutela sociale della maternità, tra le risorse da implementare come solidarietà condivisa, qualcosa che chiama in causa tutta la nostra società. Per contrasto, sembra che godano di maggiore simpatia sociale le persone omosessuali in cerca di legittimazione della loro aspettativa di genitorialità. Basta pensare al vasto consenso che accompagna i vari Gay Pride, con la partecipazione attiva di moltissime coppie anche visibilmente eterosessuali, con i loro bambini, con le immancabili bandierine arcobaleno. Tutti schierati a tutela del desiderio di paternità e maternità sociale delle coppie omosessuali, ormai trasformato in un diritto a pieno titolo. Un diritto di parità, che non trova un’eco di pari intensità quando i diritti lesi sono quelli delle altre coppie, che non rientrano nel circuito mediatico Lgbtq+.



La battaglia sociale, pubblica, dalla vasta risonanza mediatica non si solleva mai adeguatamente davanti ai diritti di altri bambini, spesso fragili, perché figli di coppie in crisi, sapendo che ce ne sono sempre di più. Ma anche e soprattutto di bambini portatori di handicap che spesso non trovano una adeguata collocazione nelle classi ordinarie. La fatica dei genitori in questi casi si moltiplica, anche davanti all’invito a portare il bambino in una scuola più idonea e attrezzata.

Il che in buona sostanza equivale ad una sorta di rifiuto. Non si vede una concreta sollevazione a tutela dei loro diritti e a sostegno delle loro famiglie, come manifestazione di solidarietà a scuola o nei vari condomini. Le famiglie sono e si sentono molto sole e sacrificano spesso anche il loro desiderio di ulteriore maternità. Oggi come oggi sembra che tutte le battaglie si concentrino a tutelare il supremo interesse del bambino che nasce in una famiglia arcobaleno: ed è giusto e doveroso tutelare i diritti di questi bambini, esattamente come gli altri, così deve essere, nel rispetto delle leggi.

E, laddove necessario, nella corretta interpretazione della legge a favore del bambino nato in una coppia omosessuale femminile. In questo caso, vale la pena ricordare che la legge che rende possibile la stepchild adoption, è una buona legge, che tutela adeguatamente questi bambini, se si superano i più comuni pregiudizi da entrambi gli schieramenti. Il bambino ha un padre, che non ha voluto riconoscerlo e preferisce restare ignoto, cosa frequente fino a pochi anni fa, e una compagna della madre che intende prendersene cura come se fosse suo, per cui lo adotta, con una adozione del tutto particolare. In questo caso si parla di adozione speciale: una stepchild adoption. Cosa che per ovvi motivi non accade nel caso dell’utero in affitto, tipico delle coppie omosessuali maschili, in cui le figure le potenzialmente materne, destinate a scomparire nell’arco di un anno o poco più, si moltiplicano fino a non poter più identificare quella realmente di riferimento.

Lottare per i diritti di tutti i bambini

Ma la battaglia per i diritti dei bambini, per il loro supremo interesse, oggi appare troppo fiacca, anche nel caso dei bambini nati in famiglie cosiddette tradizionali, sottoposte a tensioni che superano la loro effettiva resilienza. Né basta promettere loro un posto all’asilo e un assegno, per quanto consistente, sapendo che non lo sarà mai abbastanza, per vincere le loro ansie e le loro paure. A cominciare dalla paura di non farcela sul piano organizzativo ed economico; sul piano delle legittime ambizioni ed esigenze personali, sul piano relazionale con il compagno o con il marito. Sul piano stesso della educazione e del rapporto con il figlio, considerando quanto si dilata la sua adolescenza, fino a diventare uno stato cronico di dipendenza in cui diventa sempre più problematico sostenere desideri che diventano diritti e doveri che si risolvono in capricci. Soprattutto se si allontana il loro tempo e il loro spazio per un adeguato lavoro professionale.

In sintesi

Occorre ripartire dai diritti dei bambini, dal loro diritto alla famiglia, alla salute e alla scuola; al gioco informale, al tempo libero e alla possibilità di muoversi liberamente. Dando ai genitori e a chi se ne prende cura la certezza di non essere soli, ma di sentire concretamente il sostegno efficace delle Istituzioni che doverosamente se ne debbono occupare prendere cura. Ma oltre agli aspetti istituzionali, è necessario che l’intera società riscopra una responsabilità diffusa urgente per garantire ad ogni bambino tutti i suoi diritti.

Anche perché è sempre più vero quello che afferma un antico proverbio africano: per educare un bambino ci vuole un villaggio intero! Solo così torneremo a riempire le culle e a ridare alle famiglie, cominciando dalle madri, la sicurezza che non sono sole e il proprio figlio, meglio se saranno i propri figli, ben più di uno, potranno crescere autonomamente e con maggiore autonomia, anche rispetto allo stereotipo oggi incalzante della madre perfetta. E questo vale per tutte le madri e per tutti i bambini fatti crescere il più liberamente possibile, senza strumentalizzazioni di qualsiasi tipo, in una società che accoglie, ma che ricorda continuamente una giusta dose di diritti e doveri. A cominciare dal diritto alla verità, che chiama le cose con il loro nome e rispetta le leggi, cominciando da quelle naturali, sapendo essere inclusiva, senza discriminazioni, ma anche senza inutili contraffazioni della realtà.

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