Il problema del difficile rapporto tra libertà religiosa e “nuovi diritti civili” è stato nuovamente affrontato dalla Corte Suprema Usa in una sentenza decisa all’unanimità. Firmata dal chief Justice Roberts, pubblicata il 17 giugno 2021, la sentenza segna un importantissimo punto a favore del diritto alla libertà religiosa, non solo individuale ma anche associativa.
Il caso affrontato è quello di uno storico ente benefico della città di Philadelphia, la Catholic Social Services, la cui storia risale al 1798, che tra i diversi servizi erogati supporta le famiglie disponibili all’adozione e all’affido, collaborando con il municipio e ricevendo rimborsi per le spese sostenute. Nel 2018 la città di Philadelphia ha escluso la Catholic Social Services dalla possibilità di erogare questo servizio perché non accompagnava coppie omosessuali. L’ente si è difeso, sostenendo che mai una coppia omosessuale si fosse rivolta a loro per essere accompagnata nell’adozione di un figlio e che, in ogni caso, se fosse successo l’avrebbero indirizzata verso altri enti.
La Suprema Corte ha sottolineato che qualsiasi decisione di un ente pubblico che limiti la libertà religiosa, sia di una persona fisica che di un ente, debba essere sottoposta ad un rigoroso vaglio da parte del giudice di legittimità e che possa sopravvivere solo nel caso in cui serva per proteggere un altro interesse di rango costituzionale e, per di più, solo nel caso in cui questo non possa essere protetto e tutelato in altro modo. Nel caso in questione, dunque, pur essendo il principio di uguaglianza tra coppie omosessuali e coppie eterosessuali non in discussione, la Corte ha sottolineato come la garanzia ad un ente cattolico di poter operare in linea con il proprio credo religioso non avrebbe in alcun modo minato il principio di uguaglianza, essendo la possibilità di adottare figli per coppie omosessuali in ogni caso garantita da altri enti convenzionati. Il giudice Roberts sottolinea che lo stato (in questo caso il municipio) è tenuto a attuare tutte le ragionevoli “accomodation” che possano permettere ad un ente religioso di proseguire la propria attività in maniera coerente con il proprio credo: questo non implica certo l’imposizione di tale credo a qualcuno.
Questo ragionamento della Corte è a mio avviso utilissimo per affrontare molti casi simili che sicuramente sorgeranno, e a volte sono già sorti, in Italia e in Europa, in cui, in nome di pur giusti principi di non discriminazione, verrà messa in discussione la legittimità dell’azione di molte istituzioni di ispirazione religiosa, non solo cattolica.
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