Una delle tante cose che ha sorpreso da quando Javier Milei è approdato alla presidenza in Argentina è la rapidità con la quale, una volta arrivato alla Casa Rosada, abbia messo nero su bianco attraverso vari DNU al suo intero programma di Governo.

Ovviamente ora si attende l’approvazione attraverso il Parlamento, ma l’iniziale resistenza sia da una parte della legislatura che della politica, ma soprattutto dei sindacati e del loro variegato mondo è alquanto diminuita sia perché molte organizzazioni sindacali stanno raggiungendo accordi (avendo alcune registrato perdite importanti di iscritti), sia per il semplice fatto che la vittoria elettorale è stata schiacciante e gli oppositori devono rendersi conto che ormai sono in minoranza nel Paese.



Guardiamo un caso abbastanza curioso che è anche stato affrontato dal Sussidiario in un articolo di Cristiano Spazzali, che commenta un fatto alquanto originale: quello dell’offerta fatta dal Presidente ai lavoratori della compagnia aerea Aerolineas Argentinas. In pratica Milei a un certo punto, stufo delle minacce non tanto velate fatte da dirigenti sindacali, ha detto chiaramente di essere pronto a dare il vettore in gestione al personale direttamente, togliendo la presenza dello Stato dalla società.



C’è da mettere ben in chiaro una cosa: poco tempo prima dell’ultima e decisiva tornata elettorale, Aerolineas dichiarava di avere un bilancio in attivo, cosa raramente accaduta nella storia della compagnia quasi sempre in mani statali. Ma il fatto è che, facendo un po’ di indagini sulla strana questione, si è scoperto come Aerolineas nella realtà avesse il solito buco nei conti, risolto dallo Stato attraverso l’iniezione di capitale proveniente dall’Anses, che è l’Inps argentina. In pratica i pensionati, attraverso i loro versamenti contributivi, non solo hanno sponsorizzato migliaia di persone che, per ragioni o conoscenze politiche, hanno ottenuto pensioni senza mai versare un contributo, ma si possono permettere anche di tappare la voragine finanziaria della “compagnia di bandiera”. Insomma, gli ex lavoratori percepiscono emolumenti spesso da fame che negli ultimi 4 anni non sono stati indicizzati alla stratosferica inflazione, ma si sono “permessi” il lusso (a causa di una fraudolenta manovra statale) di “finanziare” il vettore nazionale.



La cosa stride, e parecchio, ma a questo punto la domanda di rigore è la seguente: visto che questo regalo deve per forza di cose tornare nelle casse dell’Anses (che altrimenti registrerebbe un buco notevolissimo), i dipendenti che razza di società erediteranno in gestione?

L’operatività di Aerolineas è da quattro anni a livelli buoni, soprattutto perché con l’avvento, pardon il ritorno, del perokirchnerismo al potere nel 2019, ha in pratica riacquistato il monopolio del traffico aereo nazionale che, sotto la precedente Presidenza di Macri, aveva dovuto fare i conti con la penetrazione dei vettori low cost che, con tariffe molto convenienti, avevano conquistato una bella fetta di mercato: ora Milei ha deciso che i cieli si riaprono e che addirittura altri vettori internazionali potranno operare nel mercato, purché rendano note sia le capacità tecniche che finanziarie per coprire le rotte.

È abbastanza ovvio che condizioni del genere rappresentano una sfida al limite dell’impossibile, ma allo stesso tempo interessante qualora lo Stato ceda la compagnia senza perdite: ma la domanda lecita è se i sindacati totalmente kirchneristi che di fatto la governano siano disposti a togliere le mani dal potere assoluto interno per rendersi anche loro (visto che ne sono dipendenti) protagonisti della sfida proposta.

Per ora, ovviamente, il pacchetto è stato rispedito al mittente e rifiutato, ma la questione non è ancora chiusa. Vediamo, però, di ripercorrere da vicino la storia di Aerolineas dal 1950, anno della sua nascita.

Vettore estremamente importante e professionale, si impone come il migliore del continente latinoamericano e ha la sua epoca d’oro negli anni nei quali il trasporto aereo presentava le compagnie, totalmente in mani dei rispettivi Stati, come fiore all’occhiello di ogni nazione, identificandosi con essa come immagine/Paese.

Il cambiamento inizia a proporsi negli anni ’80 quando, con il ritorno della democrazia dopo i tristi anni ’70, il Presidente Alfonsin decide di operare per la privatizzazione: ma i suoi tentativi vengono affossati dai sindacati e pure dalla situazione finanziaria del Paese che, dopo il fallimento del cosiddetto Plan Austral (che aveva portato a un iniziale valore del peso paritario al dollaro) torna un’inflazione a livelli iper che, sommandosi alla catena industriale di scioperi generali, affossano il Governo che si dimette generando elezioni che nel 1989 provocano il ritorno del peronismo al potere nella figura di Carlos Saul Menem.

Il nuovo Presidente avvia un immediato programma di privatizzazioni e nell’arco di breve tempo le principali aziende statali passano di mano: così nel 1990 Aerolineas viene ceduta al Gruppo Iberia. Le cose però non vanno affatto bene, nonostante le roboanti promesse del vettore spagnolo: d’altronde, aggiungiamo, non si è mai visto un’orata mangiarsi uno squalo e così inizia uno svuotamento delle risorse, all’epoca ancora notevoli, che vengono letteralmente passate alle dipendenze di Madrid (il pacchetto include il sistema di prenotazioni e gli aerei migliori della flotta) provocando una situazione dove, nel 1992, circa 1.500 lavoratori vengono licenziati.

La crisi inizia nel 2001, quando Iberia si disfa di Aerolineas cedendola all’Iri spagnolo: ma grazie all’intercessione di Re Juan Carlos, preoccupato dal mare di proteste e dall’ondata anti-spagnola promossa in Argentina, che rischiava di deteriorare l’immagine del suo Paese, decide di passare la compagnia al gruppo privato Marsans, che la gestisce, anche lì con operazioni di sciacallaggio industriale, fino al 2008, quando il vettore entra in fallimento con circa 900 milioni di dollari di passivo.

Lo Stato decide di intervenire e, durante una “storica seduta” in Parlamento decide di espropriare la compagnia e riportarla sotto il suo controllo, proseguito fino a oggi, trasformandola in una società sottoposta a uno stretta governance sindacale. Le organizzazioni sindacali, in pratica, la dirigono come un loro feudo anche quando nel 2015, a seguito della vittoria di Mauricio Macri nelle presidenziali, la compagnia viene posta dall’allora AD Mario Dell’Acqua in un processo di rigenerazione della flotta e nel 2017 entrano a farne parte i nuovissimi Boeing 737 MAX oltre agli Aibus 330 che rimpiazzano i 340.

Ma i tentativi di cambiare i poteri interni, nonostante la presenza della validissima dirigente Isela Costantini, naufragano anche per le voci che fanno apparire imminente una privatizzazione, sempre contrastata dai sindacati: fino a quando nel 2019, con il ritorno del perokirchnerismo al potere, la compagnia torna a uno statalismo che continua al giorno d’oggi.

Ora, se esaminiamo bene la questione nell’ambito del trasporto aereo mondiale, l’unica situazione nella quale una compagnia aerea venne gestita dai dipendenti fu quella della statunitense Delta che, dopo essere fallita e aver ottenuto il salvagente del famoso “chapter eleven” con aiuti Governativi previsti in questi casi, vide i lavoratori chiamare un gruppo dirigente specializzato a rimettere ordine nei conti, offrendo ovviamente la propria piena collaborazione. Il successo fu notevole e oggi il vettore è uno dei più importanti negli Usa.

Il risultato è stato raggiunto anche dallo Stato portoghese nei confronti di una “compagnia di bandiera” (TAP) che versava in bruttissime acque e quindi pure lì la si diede in amministrazione a un gruppo specializzato di dirigenti che la trasformarono nell’arco di pochi anni, con il fondamentale aiuto dei dipendenti.

La cura Milei potrebbe quindi funzionare in Argentina e, come prospetta Spazzali nel suo articolo, pure in Italia? Difficile a dirsi: ma se si vuole tentare la manovra è necessario che la cultura del settore, come in altri ambiti industriali, sia il valore portante di questa vera e propria rivoluzione e che i sindacati tornino nel loro ruolo di “labor defensor” purtroppo abbandonato da molto tempo.

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