Le locazioni brevi turistiche permettono di mettere a reddito il proprio immobile per un massimo di 30 giorni senza operare in forma di impresa, in un regime fiscale che prevede per agenti immobiliari e gestori dei portali un’imposta sostitutiva del 21% ai redditi derivanti dagli affitti. Pochi giorni fa è arrivata dal ministero al Turismo la nuova proposta normativa, riveduta rispetto alla prima bozza circolata: in sostanza nessuna deroga all’obbligo di permanenza nelle città metropolitane per almeno due notti, e limite di due appartamenti in locazione per lo stesso proprietario. Confermati i codici identificativi nazionali, in sostituzione di quelli regionali.



L’accoglienza della nuova scrittura della norma è stata complessivamente tiepida: intuibile il tentativo di governance e contenimento di un far west divenuto ipertrofico negli ultimi anni, tanto cresciuto da costringere in perimetri sempre più angusti la residenzialità abitativa nelle città più frequentate, e tale da evidenziare la sperequazione fiscale e normativa tra chi opera in queste locazioni e chi nelle tradizionali strutture ricettive.



Ma anche i correttivi che si vorrebbero adottare sembrano deboli e insignificanti rispetto a una serie di problemi più volte denunciati, quali “gli imbarazzi dei condomini costretti a subire presenze senza nessun controllo; la mancanza di alcun richiamo agli obblighi sui regolamenti di condominio e senza far definire le responsabilità per la proprietà; il trascurare tutti i problemi relativi alla sicurezza e l’assenza di controlli in presenza degli ospiti; l’inesistenza di un obbligo di presidio della struttura per verificare il reale numero degli ospiti e le loro attività più o meno legali, inclusa quella potenziale dell’esercizio della prostituzione”, come ha recentemente ricordato Francesco Gatti, presidente Assohotel Roma. E inalterati resterebbero comunque i regimi fiscali di vantaggio, la mancata applicazione dei contratti nazionali di lavoro, il mancato rispetto dei diritti regionali e comunali di indirizzo e controllo sul territorio, nonché del piano regolatore totalmente ignorato sulla destinazione d’uso, delle addizionali comunali e regionali sulle attività turistiche, nell’impossibilità del Comune e della Regione di regolare l’equilibrio tra le attività di accoglienza, di commercio e di residenza. Questa sostanziale deregulation ha già creato troppe incertezze sugli investimenti e sulle riaperture alberghiere soffocate dalle chiusure per Covid (ad esempio, proprio a Roma nel 2019 si contavano circa 1.200 strutture, oggi si arriva a stento a 800), per non dire delle contrazioni occupazionali che ne derivano.



Molti invocano misure ben più draconiane. Come quelle appena adottate a New York, dove è entrata in vigore una legge limitare i brevi pernottamenti: il proprietario che vuole affittare per pochi giorni la propria abitazione (a un massimo di due ospiti) può farlo solo registrandosi al Mayor’s Office of Special Enforcement e, una volta ottenuta l’autorizzazione, è tenuto a essere presente fisicamente nella casa per tutta la durata del soggiorno. Ovvio che se dovrà essere in un alloggio non potrà essere in un altro, quindi addio in un colpo ai plurilocatori.

Senza esagerare o criminalizzare alcuna iniziativa privata che insiste su vani di proprietà, le nuove norme che si vogliono introdurre in Italia potrebbero costituire comunque un primo passo, propedeutico a successive integrazioni. Confartigianato, ad esempio, chiede di introdurre nel testo anche poteri specifici da attribuire ai sindaci per limitare anche temporaneamente gli affitti turistici in determinate zone della città a particolare valore storico e con particolare concentrazione del fenomeno, per salvaguardare l’equilibrio dell’ecosistema urbano, fatto anche di botteghe artigiane che scomparirebbero in assenza di residenti. “La banca dati e il codice unico identificativo nazionale sono strumenti di trasparenza dell’offerta – sostiene invece Confindustria Alberghi -. La proposta va incontro alle reali esigenze di organizzazione e di gestione del territorio anche dal punto di vista della sicurezza. Con la banca dati sarà possibile conoscere l’ubicazione delle diverse attività e questo permetterà di affrontare con politiche adeguate i reali flussi turistici della città”. “È importante però fare in fretta – spiega Maria Carmela Colaiacovo, Presidente della rappresentanza confindustriale del settore – per ristabilire in tempi brevi l’equilibrio tra attività delle imprese e le comunità residenti. Chiunque operi nel mercato dell’ospitalità turistica deve essere tenuto ad agire nel pieno delle regole e sottoporsi ad un regime fiscale coerente con l’attività svolta”.

Diverse le posizioni delle territoriali di Federalberghi, e dei sindaci delle aree metropolitane più direttamente segnate dall’overshortrentals, fenomeno che proprio il presidente della federazione, Bernabò Bocca, aveva definito il “mr Hyde dell’ospitalità”, il lato oscuro, un’economia sommersa che rappresenta il 23,6% dei flussi turistici ma che genera solo l’11,9% dei consumi turistici. Prendendo ancora una volta Roma ad esempio, si calcola che nella capitale operino circa 12 mila b&b illegali, evasori totali di Iva e tasse varie, compresa quella di soggiorno: solo per quest’ultima, il Comune di Roma ha calcolato un mancato introito di circa 20 milioni di euro l’anno.

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