Ahmad (nome di fantasia) è afghano. È già da qualche tempo in Italia, mentre la moglie e i due figli sono intrappolati nella bolgia infernale dell’aeroporto di Kabul, dove si ammassano migliaia di persone nella speranza di potersi imbarcare su un volo che li porti lontano dall’Afghanistan dei talebani. La disperazione è evidente dal tono della sua voce: “Non guardo Facebook, non guardo la televisione, non ne ho il coraggio. Ho sentito mia moglie al telefono, i bambini piangevano, non sono riusciti a fare i documenti, ma sono lì lo stesso, un militare italiano ci ha promesso di aiutarci”. Ahmad lavorava nella zona di Kandahar in una società incaricata di costruire strade, in collaborazione con gli americani, faceva l’autista. Questo fino a quando i talebani si sono presentati a casa di suo padre, chiedendo di lui. Sapevano tutto, sapevano che lavorava con gli occidentali, hanno intimato al padre di dirgli che doveva smettere di andare a lavorare. Questo numerosi anni fa, cosa che la dice lunga su come i talebani avessero già in mano gran parte dell’Afghanistan e che la conquista non è avvenuta nel giro di pochi giorni come invece viene sostenuto. Quando lui si è rifiutato di licenziarsi, i talebani sono tornati e hanno massacrato il padre di botte, spaccandogli tutti i denti. A quel punto il padre stesso gli ha consigliato che era meglio che fuggisse e Ahmad, passando attraverso Iran e Turchia, è arrivato in Grecia e poi in Italia, dove dopo parecchi mesi ha ottenuto asilo politico. Non ha voluto portare la famiglia in quel viaggio che poteva costare loro la vita. Adesso sta aspettando di sapere se la moglie e i figli riusciranno a fuggire da Kabul.



Di cosa si occupava in Afghanistan?

Era il 2005, grazie al fatto che avevo un pick-up, un amico mi disse che una società turca che costruiva strade nella zona di Kandahar aveva bisogno di un autista per un americano che era il responsabile di tutto il campo. Dovevo accompagnarlo insieme a dei soldati armati quando aveva bisogno di allontanarsi dal campo.



Erano soldati della Nato?

Sì, c’erano centinaia di soldati di guardia al campo, l’americano pagava lo stipendio a tutti, agli operai, agli autisti come me e anche ai poliziotti afgani.

Poi cosa è successo?

Io abitavo molto lontano da Kandahar, i talebani avevano scoperto che io lavoravo in quel campo. In Afghanistan non importava che lavorassi per stranieri, francesi o italiani, per loro erano tutti americani. Sono andati a casa di mio padre di notte, se li è trovati davanti con le armi in mano. Hanno chiesto se era mio padre, gli hanno chiesto dove lavoravo, mio padre non poteva mentire perché loro sanno tutto, gli hanno ordinato di dirmi di non andare più a lavorare se no lo avrebbero ammazzato come un cane.



E poi?

Alcuni giorni dopo mio padre è venuto a cercarmi al lavoro, mi ha raccontato tutto, ma io ho detto che non volevo perdere il lavoro. Sapevo che altri miei compagni si erano licenziati per paura dei talebani, ma erano stati ammazzati lo stesso, ho detto: io non mi fido di loro. Quando i talebani sono tornati da lui, ha risposto che non lasciavo il lavoro. Lo hanno massacrato di botte, gli hanno spaccato tutti i denti.

È stato allora che ha deciso di andartene dall’Afghanistan?

Sono stato malissimo per quello che è successo, vedere mio padre ridotto così mi ha fatto impazzire dal dolore. Il campo di lavoro intanto si era spostato e i talebani erano sempre più vicini. Mio padre mi ha detto: vattene dall’Afghanistan, sarà sufficiente sentirci al telefono, ma scappa per restare vivo. E sono fuggito.

Sei riuscito ad arrivare in Italia?

Ho pagato 5mila dollari per andare fino in Turchia, poi sono stato in Grecia per diversi mesi, infine sono venuto in Italia, in un centro di accoglienza per migranti. Ci sono stato circa sei mesi e finalmente mi hanno riconosciuto l’asilo politico.

È sposato?

Sì, ho una moglie e due figli. Adesso sono all’aeroporto di Kabul insieme a un mio conoscente.

Come mai non li ha portati con sé in Italia?

Stavamo facendo i documenti per farli venire in Italia, ma i talebani due mesi fa hanno conquistato la zona dove vivevamo e non è stato più possibile.

Ma i soldati americani cosa facevano, combattevano?

Sì, sono rimasto coinvolto in tantissimi scontri mentre facevo l’autista. I soldati americani combattevano. Una volta stavamo andando all’aeroporto di Kandahar, dieci chilometri prima ci hanno attaccato, con noi c’erano sempre almeno 20-25 soldati.

Come è possibile che i talebani abbiano conquistato Kabul in così pochi giorni?

L’esercito afgano non ha combattuto, nessuno si aspettava una cosa del genere. L’esercito afgano era forte, aveva un sacco di mezzi, ci chiediamo perché non abbiano combattuto, non sappiamo spiegarcelo.

Sua moglie deve prendere un aereo italiano?

Sì, degli amici hanno parlato con un militare italiano che ha promesso di aiutarci. Stanno aspettando un volo per l’Italia, ci siamo sentiti per telefono, lì è il caos assoluto, i bambini piangono disperati. Speriamo che riescano a salire.

Vi sentite traditi, abbandonati dai paesi occidentali?

No, siamo addolorati che l’Afghanistan abbia perso la libertà, tutte le cose che erano state costruite in questi vent’anni. Il vero problema sono i nostri soldati, il nostro governo, non diamo la colpa agli americani.

I talebani sono cambiati?

No, ho visto persone come mio padre minacciate, picchiate, ci sono  persone a cui è stata tagliata la testa. I talebani sono l’orrore, il male. È finito il sogno che abbiamo avuto per vent’anni, l’unica cosa è fuggire dall’Afghanistan.

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