Il G7 straordinario fortemente voluto dal premier inglese Boris Johnson si è concluso con un nulla di fatto: Joe Biden non ha intenzione di rimanere in Afghanistan dopo il 31 agosto. Gli stessi inglesi anticiperanno il ritiro rispetto alla data prevista. Cosa succederà dopo è del tutto impossibile immaginarlo. Per il professor Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale all’Università di Roma La Sapienza, “le cause dell’attuale situazione vanno ricercate in quello che è successo prima, adesso siamo davanti a un grande interrogativo, a un futuro che nessuno è in grado di prevedere, in attesa che si costituisca il governo talebano che ci permetterà di capire almeno qualcosa della direzione in cui potranno svilupparsi gli eventi”.



La richiesta di Boris Johnson, di Macron e di Angela Merkel di prolungare l’evacuazione da Kabul a dopo il 31 agosto è stata bocciata senza esitazione dalla Casa Bianca. Significa una frattura fra Europa e Stati Uniti?

È difficile parlare di una frattura. Gli Usa pensano che i rischi a cui andrebbero incontro allungando l’evacuazione siano troppo grandi. Preferiscono non imbarcarsi in una nuova avventura, non è certo un comportamento particolarmente dignitoso, ma non credo che su questo ci possa essere una frattura fra Europa e Stati Uniti. Sul campo ci sono i soldati americani senza nessun obbligo nei confronti dell’Europa. Inoltre c’è un accordo fra Usa e talebani sul rispetto delle modalità di evacuazione.



Però Nato e Unione Europea si sono impegnate su richiesta americana e hanno realizzato scuole, ospedali, infrastrutture. È accettabile che l’Europa debba seguire l’America in questa disfatta?

Gli americani hanno magari un obbligo morale, ma non molto più di questo. A Kabul ci sono 5mila soldati americani che verosimilmente non potrebbero reggere l’urto in caso di un attacco talebano. Le infrastrutture aeroportuali sono poi estremamente fragili, basta semplicemente provocare un danno sulla pista e da lì non partirebbe più nessuno per settimane. Non è una situazione facile. Noi seguiamo con trepidazione e vorremmo che gli afgani che hanno collaborato e che comunque possono temere persecuzioni dal nuovo regime possano essere evacuati, ma non è facile mettere in salvo tutti. Bisognerebbe guardare a quello che è successo prima per capire la situazione di oggi.



I famosi accordi di Doha firmati da Donald Trump nel febbraio 2020 che in pratica hanno consegnato l’Afghanistan ai talebani.

Da quello che sappiamo gli accordi con i talebani erano stati costituiti molto tempo fa, gli accordi di Doha che ha citato lei. L’intero accordo di ritiro era stato definito con i talebani. Secondo l’amministrazione americana i talebani hanno mantenuto gli impegni che erano quelli di non attaccare il contingente americano. Dopo, la situazione è degenerata non solo per colpa dei talebani ma anche per demerito del governo afgano. Violare l’accordo con i talebani li esporrebbe a forme di ritorsioni, ci sono motivi politici e tattici.

Per il dopo-31 agosto il nostro premier Draghi e Angela Merkel chiedono la formazione di corridoi umanitari, la possibilità di aprire campi di accoglienza nei paesi confinanti con l’Afghanistan. Secondo lei è fattibile?

Per realizzare questo progetto nobile ci vuole la cooperazione dei talebani o bisogna farlo unilateralmente. Gli europei dovrebbero scegliere quale strada perseguire, l’accordo con i talebani mi sembra in questo momento piuttosto difficile. Senza un minimo di coercizione nei loro confronti non si potrà realizzare. Inoltre bisogna essere pronti a operare sul terreno, per gli europei è difficile accettare questa cosa, è un impegno militare piuttosto serio e rischioso.

Contare sulle repubbliche islamiche ex sovietiche e il Pakistan?

Il Pakistan ha sempre avuto atteggiamenti molto ambigui. In attesa del consolidamento del governo talebano i paesi occidentali potrebbero pretendere qualcosa in cambio, misure unilaterali mi sembrano difficilmente organizzabili. Non è una situazione esaltante ma le cause vanno ricercate negli eventi che si sono succeduti prima, oggi la situazione è quella che è. Dopo questa pesante sconfitta non sarà facile aiutare gli afgani.

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