Saltella, felice, la ragazzina con i pantaloni gialli. Lei e la sua famiglia sono appena sbarcati da uno dei voli di evacuazione dall’inferno dell’aeroporto di Kabul, quando ancora si poteva fuggire dall’Afghanistan. Sono in fila indiana. Davanti, come in ogni famiglia, il papà che tiene per mano la sorellina più piccola.
Dietro la mamma con sulle spalle un pesante zaino, tutto quello che ha potuto portare via, il velo islamico sui capelli ma il viso libero, niente burka, se non fosse per la mascherina anti Covid che le lascia solo gli occhi liberi. E dietro a tutti c’è lei, la ragazzina con i pantaloni gialli. Che saltella, vola in alto, una felicità intrattenibile.
Sono riusciti a prendere un volo per fuggire da Kabul. Erano arrivati lì a fine luglio per andare a trovare i genitori di lei, già da diversi anni hanno lasciato la loro patria, vivono in Belgio. Avevano deciso di lasciare quel paese che in vent’anni da quando sono arrivati “i liberatori” non ha mai conosciuto la pace. Un paese povero, poverissimo, insanguinato. Solo poche settimane prima del loro arrivo un kamikaze si era fatto saltare davanti a una scuola, uccidendo novanta studentesse. Non si possono far crescere i propri figli in Afghanistan. Poi, quando erano lì, l’arrivo dei talebani, quell’incubo da cui erano fuggiti era tornato emergendo dalla nebbia della paura per ghermirli tutti. Allora la corsa all’aeroporto, in mezzo a cinquantamila disperati schiacciati uno contro l’altro. Le autorità belghe erano riuscite a dare loro un pass e via da Kabul.
Cosa avrà capito di tutto questo la ragazzina con i pantaloni gialli? Era andata a trovare i nonni felice, adesso stava scappando in mezzo alla gente che moriva, che urlava la sua disperazione. Una volta scesa dall’aereo, non ha saputo trattenere la sua gioia. Magari semplicemente perché contenta di quel volo in aereo che l’ha emozionata. È felice perché è con la sua famiglia. Non sa che sono tra i pochi fortunati che sono arrivati in occidente, quel posto che nonostante tutto significa ancora libertà. Lo scoprirà quando sarà cresciuta. La ragazzina con i pantaloni gialli incarna tutti quegli afgani che qui sono giunti ma anche tutte le persone del mondo che nel disastro, nella devastazione, trovano una possibilità.
“Beati bambini; / Beata speranza / Beata infanzia / Tutto il loro piccolo corpo, tutta la loro piccola persona, tutti i loro piccoli gesti, sono pieni, grondano, traboccano di una speranza / Risplendono, traboccano di un’innocenza / Che è l’innocenza stessa della speranza” scriveva il poeta francese Charles Péguy. Bambini che comunicano speranza senza saperlo, davanti ai quali anche “i più grandi santi non sono che vecchiaia e decrepitezza”. Perché loro hanno una “sicurezza, innocenza unica (…) l’innocenza del cuore / Giovinezza del cuore / Speranza; infanzia del cuore”.
La ragazzina con i pantaloni gialli non sa quale futuro l’aspetta, quanto dovrà ancora soffrire o no, ma non importa: “Si mandano i figli a scuola dice Dio (…) Si farebbe meglio a mandare i genitori / Son loro che ne hanno bisogno (…) si crede che i bambini non sappiano nulla / E che i genitori e le persone grandi sappiano qualcosa / Ora io ve lo dico è il contrario”.
Già, perché sono stati i grandi a costruire l’orrore dell’Afganistan e di mille altri Afghanistan. La ragazzina con i pantaloni gialli che saltella felice invece è la nostra speranza.
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