Le immagini che non ci saremmo mai aspettati le abbiamo viste tutti: donne afgane che manifestano per strada davanti ai talebani con i mitra in mano, chiedendo il rispetto dei loro diritti; cittadini scesi per strada a Jalalabad, a Kabul e a Asadabad con in mano la bandiera nazionale dell’Afghanistan nel giorno del 122esimo anniversario dell’indipendenza al grido di “Lunga vita all’Afghanistan. La nostra bandiera nazionale è la nostra identità”. Non la bandiera bianca con i versetti del Corano che i talebani stanno issando ovunque. C’è dunque uno spirito di resistenza nel popolo afgano.



Protagonista di molte missioni di pace in Afghanistan, in cui si è recato per tenere corsi di giornalismo e aprire scuole, Marco Lombardi, docente di sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed esperto di terrorismo, ci spiega che questo “è il frutto del seme che abbiamo cercato di spargere nel corso dei nostri interventi nel paese, il virus della conoscenza. Favorire cioè delle aree di incubazione di un modo di governo che è la democrazia attraverso dei processi educativi nei quali si condividono conoscenza e valore. Purtroppo, se non si attiverà la comunità internazionale, non so dire che fine faranno queste donne e questi uomini che stanno coraggiosamente scendendo in strada”.



I talebani ci hanno detto tante belle cose, quanto sono credibili?

Le promesse lasciano il tempo che trovano, non lasciamoci infatuare dalle promesse.

Cioè?

In questo momento le promesse sono delle dichiarazioni necessarie che servono a fare propaganda per cercare di ridurre la dimensione conflittuale e per cercare di dare una buona ragione alle potenze che hanno interesse a rimanere nel paese per rapporti commerciali in barba a qualunque ragione umanitaria e di trovare quella giustificazione per continuare ad avere rapporti con i talebani.

Sta pensando a Cina e Russia?

Esatto, ma faccio riferimento anche al Pakistan. Per il resto i talebani lo hanno detto chiaramente: qui vige la Sharia. Non esiste paese in cui vige la Sharia dove i diritti umani siano rispettati, questo è un dato di fatto.



Mi permetta, anche in Arabia Saudita, paese nostro alleato e nostro amico, vige la Sharia, o no?

Certo, e infatti è un paese dove le donne non godono di diritti. Distinguiamo: la Sharia non impedisce ai governi che ci possano essere relazioni fra loro. Gli Usa mantengono da sempre relazioni con l’Arabia Saudita, un paese che è acclarato sia finanziatore del terrorismo contro l’Occidente e non solo. E non brilla certamente per il riconoscimento dei diritti umani. Quello che volevo dire era però un’altra cosa.

Ci dica.

Saremmo degli ingenui se credessimo alle promesse che hanno fatto i talebani. Sono funzionali a gestire il potere in questo momento.

Che cosa succederà alle donne che anche lei ha formato, alle missioni educative che avete fondato?

C’è un dato positivo e uno negativo. Il primo è che abbiamo gettato il germe della conoscenza.  I valori sottesi alla democrazia appartengono alla cultura, necessitano di tempi lunghi per sedimentare e diventare operativi, questa è una buona ragione per dire che è una idiozia voler esportare la democrazia.

Invece?

Quello che si fa è favorire delle aree di incubazione, di un modo di governo che è la democrazia attraverso dei processi educativi nei quali si condividono conoscenza e valore. Questo è quello che abbiamo fatto in Afghanistan.

Avete seminato. I risultati?

Una volta che il germe della conoscenza e del dubbio e di un credo diverso vengono diffusi, non ci si può non confrontare. Questo virus è stato inserito nei giovani afgani.

L’aspetto negativo?

Questi giovani oggi sono a rischio proprio per questo. Abbiamo formato donne perché diventassero giornaliste, siamo in contatto con alcune di esse e stiamo cercando di farle uscire dall’Afghanistan. Sono nascoste, i talebani sono andati a cercarle in casa sapendo che sono donne che hanno scritto sui mezzi di informazione. L’aspetto negativo è che quel virus può diventare una grosso problema per chi ne è stato contagiato.

Si aspettava le manifestazioni delle donne per i loro diritti?

Questa è la sintesi di quanto abbiamo detto. Abbiamo inserito questo virus e quelle donne hanno incorporato quello che abbiamo condiviso, hanno trovato la forza di scendere nelle strade a manifestare. Purtroppo non so dire cosa succederà loro. Il problema è che aiuto darà la comunità internazionale, sono molto perplesso da quello che vedo accadere a Kabul. Ci si sta piegando ai più beceri interessi nazionali, continuare cioè ad avere rapporti commerciali con Cina  e Pakistan, mentre gli americani stanno facendo il loro comodo per scappare con la coda fra le gambe il più presto possibile.

Di fronte a questa disfatta resta l’orgoglio del vostro lavoro. Si può dire?

Siamo orgogliosamente preoccupati. Viviamo in un mondo di contaminazioni, un mondo globale dove non c’è posto in cui non si venga a sapere cosa accade altrove. Poi va da sé che ogni cultura e paese debba trovare la propria strada, ma non in termini di rifiuto e chiusura delle altre culture come accade con l’assolutismo ideologico, religioso e culturale dei terroristi talebani.

Che poi si presentano come liberatori dell’Afghanistan quando la loro etnia è solo il 35% del popolo afgano.

Sì, dicono di rappresentare il popolo, purtroppo lo dicono anche molti islamici nazionali italiani, sono cose che non corrispondono alla realtà. Purtroppo la storia ci insegna che i cambiamenti li hanno sempre fatti le minoranze. L’Afghanistan, poi, ha una tale varietà tribale che non ha neanche senso parlare di popolo afgano.

(Paolo Vites) 

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI