Da che mondo è mondo, i militari impegnati in una guerra mentono sistematicamente. Non si troverà mai un capo di stato maggiore che dica come vanno realmente le cose al fronte. L’ennesima conferma arriva dal Washington Post, che è riuscito a ottenere (grazie a un decreto governativo di qualche anno fa che rende disponibile tutta la documentazione top secret, ma il Washington Post ha poi indagato fino a risalire ai nomi secretati delle varie fonti) un dossier di duemila pagine con interviste a generali e diplomatici impegnati nella guerra in Afghanistan. Una guerra in cui, nonostante quanto veniva raccontato all’opinione pubblica, come ha dichiarato un ex diplomatico Usa, James Dobbins, “abbiamo fallito”. “Non avevamo la minima idea di quello che stavamo facendo” dice invece il generale Douglas Lute, accusando Congresso, Pentagono e Dipartimento di Stato: “Chi dirà che questa guerra è stata vana?”. Nessun presidente, da Bush Jr. al premio Nobel per la pace Barack Obama, ne esce bene: 2.400 soldati americani morti e mille miliardi di dollari gettati in un buco nero.
Per Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale che è stato in Afghanistan molte volte, “non c’è nulla di nuovo in queste dichiarazioni: lo sapevamo tutti che è stata una guerra persa. Di Trump si può dire tutto il male che si vuole, ma almeno è l’unico presidente americano che vuole ritirarsi da lì e che non vuole più impegnare l’America in guerre all’estero”.
Questo dossier è davvero uno scoop o chi come te conosce l’Afghanistan queste cose le sapeva già? E la lunga guerra è stata dunque un fallimento?
Non occorreva sicuramente questo dossier per sapere queste cose. Andando a vedere come si è evoluta la situazione in Afghanistan, nessun obiettivo dichiarato è stato raggiunto.
Quali, esattamente?
La democratizzazione, per cui gli americani erano andati a combattere come in Iraq, non è stata raggiunta. L’obiettivo di creare una forza militare afghana in grado di opporsi ai talebani non è stato conseguito. Anzi, l’evoluzione della situazione sociale è casomai arretrata rispetto agli anni precedenti l’invasione russa, quarant’anni fa. Insomma, era ben chiaro che gli americani avevano fallito.
È un fallimento ascrivibile alle strategie militari o al livello politico, a chi cioè doveva, presidenti inclusi, gestire la situazione?
L’unico aspetto interessante del dossier riguarda le ragioni del perché questo processo è stato fallimentare. Il problema è che si pensava di spendere soldi in quel buco nero che è l’Afghanistan con l’obiettivo di riempirlo e che in tal modo si potesse esportare la democrazia. Quei soldi invece non hanno fatto altro che favorire la corruzione, aumentare le discriminazioni sociali e legittimare la rivolta talebana oggi in corso e che nel 2001 sembrava sconfitta.
A questo punto, allora, si può dire che gli americani hanno fallito anche in Iraq?
Anche questo era evidente sin dal 2014, se non prima, quando fu chiaro che l’emergere dello Stato islamico altro non era se non la conseguenza estrema dei fallimenti americani.
In che senso?
Già a partire dal 2003 si cercò di ricostruire il paese mettendo fuorilegge tutti coloro che invece potevano avere le capacità per rimetterlo in piedi, a partire dagli aderenti al partito Baath, che erano la maggioranza, solo perché era stato il partito di Saddam. Si fece leva sulla popolazione sciita che non aveva capacità e oltre tutto era quella più vicina ai nemici storici degli Usa, gli iraniani.
Le rivelazioni del Washington Post avranno qualche influenza sull’opinione pubblica statunitense? In fondo molti americani sono convinti di avere vinto.
Ritengo che l’opinione pubblica americana sia profondamente scettica sulle capacità di esportare la democrazia e anche di vincere le guerre. Non a caso Trump ha vinto le elezioni affermando che queste guerre sono inutili e che i soldati vanno riportati a casa. Non sarà un mostro di intelligenza, ma interpreta bene la sensibilità del paese.
A questo punto, quale potrebbe essere il futuro dell’Afghanistan?
Nel breve e per un breve lasso di tempo la vittoria militare andrà ai talebani. Ma nel lungo periodo l’Afghanistan finirà in mano ai cinesi, che ne stanno già controllando l’economia. Qualunque cosa si può comprare viene prodotta in Cina e non nei paesi occidentali, che pure hanno speso miliardi di dollari e di euro in Afghanistan. Il destino del paese è segnato: diventerà l’ennesima provincia di quella Cina che confina proprio con l’Afghanistan.
(Paolo Vites)