Solo il tempo dirà se quello firmato oggi a Doha tra Usa e Talebani sarà davvero il primo passo verso la pace o soltanto un’illusione, come tante altre ne ha viste l’Afghanistan. Ma la sensazione è che l’accordo siglato dai capi delegazione della Casa Bianca, Zalmay Khalilzad, e dal mullah Baradar sia un atto deciso verso la fine delle ostilità iniziate all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Lo dimostrano non solo le strette di mano e i sorrisi di circostanza del caso, ma anche la collaborazione offerta dai due rivali che si contendono la presidenza a Kabul: il capo dello Stato uscente Ashraf Ghani e il suo premier Abdullah Abdullah. Tutti pronti a mettere da parte le ostilità e ad accogliere l’appello di Donald Trump ad unirsi alle trattative, in vista di una possibile nuova divisione del potere in Afghanista che comprenda inevitabilmente anche i Talebani. Questi ultimi, a quanto pare, disposti a rinunciare alla lotta armata per partecipare alla ricostruzione del Paese.



AFGHANISTAN, STORICO ACCORDO USA-TALEBANI

L’ambasciata Usa a Kabul parla di “giornata grandiosa per l’Afghanistan”. Trump annuncia che in un futuro non lontano incontrerà i leader Talebani; mentre il portavoce degli “studenti coranici” ha comunicato che ogni combattente deve fermare le azioni militari. Ma quali sono i punti che hanno messo (per ora) d’accordo americani e i loro nemici? Le condizioni base sono principalmente due: Washington ritirerà le sue truppe e quelle alleate dall’Afghanistan entro 14 mesi. Inoltre la presenza militare americana sarà ridotta a 8600 uomini entro 135 giorni. Dal canto loro i Talebani si impegnano a non permettere che in Afghanistan trovino ospitalità organizzazioni terroristiche decise a pianificare attentati all’estero. Il mullah Baradar ha ribadito che per l’Afghanistan vuole “un regime islamico” e ha chiamato “tutte le fazioni” a partecipare allo sviluppo di un sistema di questa natura. Questo è l’espediente lessicale per coinvolgere al tavolo il governo di Kabul, ma se è chiaro che l’influenza di quest’ultimo dipende strettamente dall’ombrello militare occidentale, lo è meno cosa voglia significare l’espressione “sistema islamico”. Con uno storico come quello tra Stati Uniti e Talebani la diffidenza è d’obbligo: non è un caso che la firma degli Usa sia stata apposta solo da Khalilzad, per scelta del segretario di Stato Mike Pompeo. Essa, però, realizza di fatto realizza un riconoscimento formale di quello che Baradar ha definito “Emirato islamico dell’Afghanistan”: nuova entità che promette di fare concorrenza al governo di Kabul, già dilaniato dalle lotte intestine tra capo dello Stato e premier. Se son rose fioriranno…

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