MINNEAPOLIS – Quando combattevano contro l’invasione russa i talebani li consideravamo “buoni”. Li abbiamo anche armati, bene e per lungo tempo. Poi anche noi, che sappiamo solo quel che ci raccontano e capiamo le cose come ce le spiegano, abbiamo cominciato a fiutare qualcosa. Personalmente ricordo la partecipazione dell’ambasciatore della Repubblica di Afghanistan, Razan A.G. Farhadi, alla presentazione di All’origine della pretesa cristiana di don Giussani, alle Nazioni Unite. Maggio ’99. Quando eravamo andati ad invitarlo, seduti nel suo spoglio ufficio di New York City davanti ad un biscotto secco ed una tazza di tè senza zucchero, là dove tutte le ambasciate fanno sfoggio anche di quel che non sono e che non hanno, capii che la “Repubblica di Afghanistan” era pochissima cosa nel mondo tetro, opprimente ed oppressivo dei talebani. Quando poi venne ucciso dai talebani Masūd, il “ribelle buono”, due giorni prima dell’11 settembre…
Ieri sera Biden ha dovuto rivolgersi alla nazione per rendere ragione degli errori suoi e di coloro che l’anno preceduto in questi ultimi 20 anni. Solo un mese fa, interpellato su un possibile cedimento della situazione con il ritiro delle truppe Usa, il segretario di Stato Anthony Blinken diceva “non penso sia qualcosa che possa succedere dalla sera alla mattina”…
E invece è successo proprio così, riportando alla memoria le drammatiche immagini della fuga da Saigon, atto conclusivo di una delle tante guerre perse sul campo e perdute nella memoria, meglio, tentativamente rimosse dalla memoria per alleviare i sensi di colpa. Sensi di colpa per gli obiettivi promessi e mancati, per le migliaia di giovani vite sacrificate, per il tradimento perpetrato nei confronti di chi si era fidato di noi. Adesso, dopo gli americani, sono i talebani a far promesse.
Biden parla. E cosa volete che dica? Dice l’unica cosa che può dire, e che cioè ha fatto bene come ha fatto. Gli americani sono arrivati in Afganistan per combattere il terrorismo, non per costruire un paese nuovo. Il paese nuovo certamente non c’è, e in compenso il terrorismo ritrova un terreno fertile dopo 20 anni di lotte e sofferenze.
Non diamo a Joe Biden le colpe che non ha, ma non risparmiamogli quelle che gli toccano. Ci possono essere ragioni all’origine dell’intervento in Afghanistan che appartengono al passato ma non si possono ignorare tutti questi anni e la situazione che nel tempo si è venuta a creare semplicemente aggrappandosi a quelle ragioni, peraltro presunte.
Resta un grande amaro in bocca, il senso di un tempo perduto e di tante vite sacrificate non si sa per cosa.
Da un presidente ci si aspetta di più, un giudizio che abbracci tutte le cose è un’indicazione di cammino.
Questa sera, come forse in tutti questi primi mesi della sua presidenza, Biden ha fallito.
Restiamo aggrappati alla speranza di un domani migliore come quei poveri afghani che cercano di restare attaccati a quegli aerei che volano verso l’Occidente.
God bless America!
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