L’AgCom, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha richiamato l’emittente La7 per via di una puntata che “Non è l’Arena”, il format domenicale condotto da Massimo Giletti, ha dedicato all’oramai noto caso Genovese. La motivazione? Nel richiamo si parla di “forme di spettacolarizzazione” che nel racconto giornalistico potrebbero anche ledere la sfera personale. Ma andiamo con ordine. Nell’odierna seduta del Consiglio dell’Autorità, infatti, è stata adottata all’unanimità una delibera nei confronti della società La7 S.p.A. “affinché assicuri il rigoroso rispetto dei principi sanciti nel Testo unico e nei provvedimenti dell’Autorità a tutela di una informazione imparziale e di una corretta modalità di rappresentazione dei procedimenti giudiziari e dell’immagine della donna”, raccomandando di fatti la realizzazione di programmi su procedimenti giudiziari in corso con un “un equilibrato contemperamento tra il diritto di cronaca e i diritti fondamentali della persona”.



Come detto, nel mirino dell’AgCom c’è il modo in cui il talk show di successo di Giletti avrebbe trattato il caso Genovese nell’arco di 12 puntate e, si legge nella delibera, “programma con spazi di durata compresa tra i cinquanta e gli ottanta minuti, denuncia un’attenzione sproporzionata al fatto di attualità che, pur nel rispetto della libertà editoriale, sembra oltrepassare i limiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca”.



AGCOM RICHIAMA GILETTI E LA7 SUL CASO GENOVESE: “ENFASI E SPETTACOLARIZZAZIONE”

Leggendo più in dettaglio la suddetta delibera si entra nel merito di come Giletti e il suo team avrebbero condotto le suddette puntate e trattato il noto caso di cronaca. In particolare l’Agcom rileva una mancanza del doveroso equilibrio tra informazione e rispetto della riservatezza delle indagini, rimarcando anche il punto della dignità e della reputazione delle persone. In merito inoltre a un’attenzione definita “continuativa” per via della imponente copertura mediale si sottolinea anche come il “tornare sulla stessa vicenda per così tante volte ha portato all’estrema pubblicizzazione del dramma personale, enfatizzando e spettacolarizzando eventi che in definitiva hanno amplificato le sofferenze delle stesse giovani donne coinvolte”.



Altro punto su cui l’Autorità ha acceso i riflettori, oltre alla già citata spettacolarizzazione della notizia e alla scelta degli ospiti in studio (senza dimenticare inoltre la sequenza narrativa, definita altro “elemento qualificante”), è una rilevata sproporzione in relazione alle diverse tesi presentate. “il confronto fra diverse tesi non sembra essere stato adeguatamente garantito” si legge ancora, dato che la ‘serializzazione’ della vicenda in tante puntate potrebbe rischiare di ingenerare nel pubblico televisivo una confusione dei ruoli attribuibili alle diverse parti coinvolte. Il risultato? Una “vittimizzazione secondaria” ma anche la “perdita dell’efficacia informativa e sociale dell’approfondimento”.