“Quante sono le agenzie di viaggi in Italia? È un po’ difficile rispondere, o almeno dare risposte certe. Vede, non ci sono competenze uniche, nazionali, ma solo regionali, e le comunicazioni tra territori non funzionano sempre a meraviglia. Da sempre il settore è stato caratterizzato da veloci in/out, piccole imprese leggere che aprivano con facilità e con altrettanta facilità chiudevano, questo per la volatilità dei mercati e la sostanziale liberalizzazione delle licenze.



La pandemia, poi, ha scombussolato tutto”. A parlare è Domenico Pellegrino, presidente Aidit, l’associazione italiana di distribuzione turistica aderente a Federturismo Confindustria, la rappresentanza delle agenzie e dei tour operator, un settore che conta circa 13 mila imprese (agenzie e tour operator) e 86 mila lavoratori.



I numeri a disposizione sono dunque attendibili, presidente?

Le Camere di commercio hanno tentato un censimento, ma anche questo rischia di non aderire alla realtà, che cambia di giorno in giorno. Va detto che molte agenzie restano iscritte alle Camere in attesa delle quote di ristori 2021 e di quelli previsti per il 2022. Una volta che i bonifici saranno incassati, però, e saldata parte delle passività accumulate, termineranno l’attività. Si aggiunga che almeno il 18% delle agenzie che si contavano nel 2019 ha effettivamente già chiuso. E adesso s’aggiunge il fattore guerra, difficile ancora da quantificare, ma che si può immaginare influirà per un altro 18% di cessazioni. Anche per quanto riguarda la forza lavoro, il calo si può indicare sul -34%.



Flessioni impressionanti…

Siamo il settore di gran lunga più penalizzato, colpito “nella cassa”, che per il buon funzionamento di qualsiasi agenzia deve consentire un flusso costante, una disponibilità pronta. I nostri fatturati sono scesi dell’80%, ma in cambio si sono avute solo briciole.

In questa situazione, e con le incertezze ancora presenti, le vostre previsioni quali sono?

Nonostante tutto, abbiamo perso fatturati ma non la clientela. La gente non ha smarrito la voglia di viaggiare, di vacanza, perché malgrado si pensi ancora che la gestione del leisure sia un “bene voluttuario”, in realtà si tratta di garantire un insopprimibile benessere psico-fisico, cha va tutelato. Chi impegna positivamente il suo tempo libero renderà di più sul lavoro, si ammalerà di meno, resterà più attivo nel corpo e nella mente. Sono davvero aspetti trascurabili?

Quindi a breve si assisterà a una ripresa?

Credo di sì. Siamo l’unico Paese al mondo che ha mantenuto più a lungo le limitazioni sui viaggi, salvo poi, molto poi, toglierle, e poi di nuovo imponendone altre. Adesso si riprende, ma è arrivata la guerra. Si badi bene, si è sempre continuato a viaggiare anche negli anni più bui del terrorismo, quindi non sarà la guerra adesso a fermare i viaggiatori. Saranno semmai le conseguenze della guerra, con un’inflazione galoppante, a incrinare la disponibilità, riducendo le risorse a disposizione, e incrinando l’attitudine agli spostamenti.

Avete elaborato una strategia per superare le contingenze?

Credo che al di là dei ristori, serva predisporre interventi più strutturali. Va cambiata la visione nazionale sull’intermediazione turistica, costruendo catene di produzione certe e certificate, con albi di agenti aperti e trasparenti. Immagino una sorta di “bollino verde” che porti a un circuito virtuoso dove i flussi vengano costantemente monitorati, con una conseguente aderenza alle normative fiscali vigenti. E sosteniamo anche la necessità di istituire la detraibilità per la spesa-vacanza, sottolineando quanto dicevo prima: la vacanza, il viaggio non sono sfizi, ma fanno parte di una indispensabile rigenerazione dell’individuo. Senza parlare, poi, dei viaggi per i ricongiungimenti familiari tra chi magari lavora a lunghe distanze dai suoi affetti. Si tratta non di viaggi, ma di “valori biologici”.

Cosa intende esattamente, presidente?

Beh, se un turista non riesce a usufruire della vacanza prenotata, porta l’agenzia o il to in tribunale, per il giusto ristoro. E quasi sempre i giudici gli riconoscono non solo il rimborso dovuto, ma anche un danno psico-fisico derivante. Allora, non credo si debba considerare la valenza del viaggio o della vacanza a senso unico, no? La realtà è che il nostro può essere considerato davvero un lavoro socialmente utile.

Però sembra che ci si concentri sempre più sull’incoming, rispetto all’outgoing. È così?

Altroché. Sono retroterra culturali difficili da estirpare, che affondano ancora nei flussi di un tempo. Oggi siamo invece importatori ma anche esportatori di turismo, e per ogni italiano che va all’estero, qui arrivano tre stranieri. E devo ricordare che le agenzie di viaggi e i to che mandano all’estero nostri connazionali sono imprese italiane, con lavoratori italiani, e sia imprese che lavoratori pagano qui le loro tasse. Non esistono mercati chiusi: il primato dell’incoming è una visione terzomondista del turismo. Bisogna lavorare per aggiornarla.

È compito delle agenzie e dei to?

La cultura d’impresa va a carico di molti, a partire dal Governo, del nuovo ministero, delle tante rappresentanze della filiera del turismo. E anche delle nostre imprese, che assicurano assistenza ed erogano tutele, sfruttando sempre più i nuovi strumenti della digitalizzazione. Il modello della nuova agenzia sta elaborandosi: sempre meno “bottega”, sempre più un’ibridazione tra tecnologia e capitale umano, in una costante evoluzione che prevede aggiornamenti e formazione continua. 

(Alberto Beggiolini)

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