Agnese Piraino Leto era la moglie di Paolo Borsellino, morto nella strage di Via D’Amelio il 19 luglio 1992. La storia della coppia si intreccia con le indagini condotte dal magistrato del pool antimafia e degli attentati avvenuti nei primi anni 90 a Palermo. A partire dal loro incontro nel 1968, la donna è rimasta costantemente accanto al marito impegnandosi a sua volta per combattere la criminalità organizzata e per sensibilizzare i giovani invitandoli a ribellarsi alla mafia. La sua attività sociale è proseguita anche dopo la tragica scomparsa di Paolo Borsellino, tanto che nell’ultima lettera scritta dalla moglie Agnese nel ricordo degli ideali per i quali aveva lottato tutta la vita scriveva: “Caro Paolo, hai lasciato una bella eredità; ho idealmente adottato tanti altri figli, uniti nel tuo ricordo dal nord al sud. Non siamo soli“.
Aveva anche ricordato gli ultimi momenti in famiglia prima della strage, e quel bacio tra Paolo Borsellino e la moglie che inconsapevolmente fu un addio, nel libro “Ti racconterò tutte le storie che potrò“, nel quale c’è il racconto di quel giorno: “Tante vite ho vissuto. Prima e dopo Paolo Borsellino, mio marito, il padre dei miei figli. Me l’hanno portato via una domenica di luglio di vent’anni fa, ma è come se fosse ieri. Lo sento ancora avvicinarsi: mi sorride, mi fa una carezza, mi dà un bacio, poi esce accompagnato dagli agenti di scorta. E non c’è più, inghiottito da una nuvola di fumo che vorrebbe ingoiare tutta la città“.
Agnese Piraino Leto, chi era la moglie di Paolo Borsellino, l’ultima lettera dedicata al marito “eroe”
Agnese Piraino Leto, moglie di paolo Borsellino è morta nel 2013 dopo una lunga malattia, i suoi tre figli Manfredi, Lucia e Fiammetta le sono stati accanto fino all’ultimo momento, e ancora oggi conservano il ricordo della madre come una donna forte e coraggiosa che non si era mai tirata indietro nel combattere insieme al marito Borsellino la lotta alla mafia. Senza mai farsi intimidire dalle minacce e dalle intimidazioni aveva continuato a raccontare e promuovere la battaglia contro la criminalità rivolgendosi soprattutto ai giovani.
Nell’ultima lettera della moglie Agnese Piraino Leto dedicata a Paolo Borsellino in occasione dell’anniversario di 20 anni dalla strage di Via D’Amelio, lo ringraziava per essere stato non solo un marito fedele e un padre premuroso ma anche un cittadino modello che aveva messo la sua competenza a disposizione dello Stato contro le mafie. “Caro Paolo, da venti lunghi anni hai lasciato questa terra per raggiungere il Regno dei cieli, un periodo in cui ho versato lacrime amare; mentre la bocca sorrideva, il cuore piangeva, senza capire, stupita, smarrita, cercando di sapere. Mi conforta oggi possedere tre preziosi gioielli: Lucia, Manfredi, Fiammetta; simboli di saggezza, purezza, amore, posseggono quell’amore che tu hai saputo spargere attorno a te.”
Lucia, Manfredi e Fiammetta, chi sono i figli del magistrato Paolo Borsellino e della moglie Agnese Piraino Leto
I figli del magistrato Paolo Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, nati dal matrimonio con la moglie Agnese Piraino Leto hanno raccolto l’eredità dei genitori nel portare avanti la lotta alla mafia e soprattutto continuano a combattere per chiedere che venga fatta giustizia e che si possa finalmente svelare la verità su quanto accaduto nella strage di Via D’Amelio. La primogenita Lucia, nata nel 1969 ha intrapreso la carriera politica lavorando sempre nell’ambito dell’assessorato regionale della sanità. Il figlio Manfredi invece è diventato commissario di polizia, mentre Fiammetta è attualmente portavoce della famiglia Borsellino e organizza e presenzia eventi in memoria di suo padre.
Tutti e tre recentemente hanno riaperto il dibattito pubblico in merito ai depistaggi nelle indagini per l’attentato. Sostenendo che ci siano colpe da parte delle istituzioni, hanno citato la Presidenza del Consiglio e il Viminale per la responsabilità civile. Lucia Borsellino durante l’udienza preliminare dello scorso 11 luglio ha ribadito: “In 32 anni abbiamo assistito a uno scempio della verità perché quello che poi si è configurato come il depistaggio più grave della storia della nostra Repubblica“.