Luca Di Bartolomei, figlio dello storico capitano giallorosso Agostino, ricorda sulle pagine del Corriere della Sera il giorno in cui il padre, il 30 maggio 1994, si sparò un colpo, uccidendosi. Lui non ha mai smesso di sentirsi in colpa: “Perché non sapevo come reagire a ciò che avvertivo come un rifiuto da parte di Agostino. Lui si è ucciso nonostante avesse me, oltre mia madre e mio fratello, e dunque pensai che dovessi avere anch’io una parte di responsabilità. Il suo gesto ha generato in me quel sentimento con il quale a un certo punto ho dovuto fare i conti, ma ha pure trasformato Agostino in un piccolo fenomeno collettivo per tante persone della sua generazione, in questo microcosmo che è Roma”.



Di Bartolomei si uccise esattamente dieci anni dopo la Coppa dei campioni persa ai rigori il 30 maggio 1984: “Credo che Agostino sia la rappresentazione del potenziale fallimento che interroga tutti, e di fronte al quale rimaniamo senza parole o senza fiato. Prenderne atto attraverso una persona mitizzata nel luogo più incontaminato della nostra infanzia, il gioco, considerato una sorta di eroe del mondo in cui siamo stati e ci fa sentire ancora bambini, è una circostanza che atterrisce, ma suscita anche tanta pietà”.



Luca Di Bartolomei: “Mi sono sforzato di perdonare papà”

A lungo Luca Di Bartolomei ha affermato di voler credere che quello sparo, a dieci anni esatto da una partita di calcio, fosse solo una coincidenza. Oggi, però, sembra aver cambiato idea, come racconta al Corriere della Sera: “È così. Ho accettato l’idea che ci si possa sentire manchevoli anche di fronte all’amore di un figlio e di una famiglia, che evidentemente non bastano a colmare le lacune del proprio animo”. La sconfitta nella finale della Coppa dei campioni significava ammettere un fallimento personale: “Non ho certezze né prove, ma dovendomi basare su indizi penso che si debba accettare questo messaggio, farci pace e andare avanti. Smetterla di chiamarlo Agostino e farlo tornare papà. In fondo la mia rabbia verso di lui è derivata proprio dal suo considerarsi più Ago che papà; più il campione che aveva fallito l’appuntamento più importante della sua carriera del padre che poteva essere. Io mi sono sempre sforzato di perdonarlo per quello che mi ha tolto, decidendo di andarsene quando ero ancora un bambino; adesso sto provando ad amarlo”.



Luca Di Bartolomei ricorda tutto di quel giorno: “Il 30 maggio è papà che scende dalla stanza dove dormiva con mamma e infila qualche moneta nella tasca dei miei pantaloni appesi alla ringhiera della scala; io lo vedo perché ero già sveglio, e quando entra in camera per salutarmi mi chiede se voglio andare con lui a Salerno. Io rispondo di no perché avevo una prova di latino a cui non volevo rinunciare. Poi mi vesto, preparo lo zaino, papà s’era seduto in terrazza al sole che batteva già alto, gli do un bacio. Vado a scuola. Dopo circa un’ora, con molto tatto, mi hanno avvisato di quello che era accaduto e sono tornato casa. Ago era già nella bara di zinco”.