A trent’anni dalla morte di Agostino Di Bartolomei, torna a sanguinare la ferita del mondo del calcio, e non solo, per il suicidio dell’ex capitano della Roma. Era mattina quando si sparò un colpo al cuore con una pistola che da decenni custodiva in un borsello era il 30 maggio del 1994, erano passati esattamente dieci anni dalla finale di quella Coppa dei Campioni persa ai rigori. Aveva 39 anni Di Bartolomei e si trovava sul terrazzo di casa quando decise di uccidersi lasciando la moglie e i due figli. Se ne andò lasciando una lettera, nel taschino della sua giacca, rivolta alla moglie Marisa. Una lettera in cui grida con garbo la sua delusione per essere stato emarginato, “boicottato” da istituti di credito e amministrazioni che non gli consentono di fare la sua cittadella dello Sport per ragazzi, nel Cilento. E poi quella mancata chiamata da parte della sua Roma che aveva preferito l’ex arbitro Luigi Agnolin come direttore generale invece che lui. L’ipotesi di Luca, il figlio di Agostino Di Bartolomei, raccontava anni fa al Corriere della Sera che il padre abbia deciso di compiere il suicidio quel giorno per lanciare un messaggio alla sua famiglia e al mondo del calcio, da cui pare si sentisse rifiutato.
Infatti, sosteneva che il padre era stato tenuto ai margini del mondo che amava per responsabilità anche sue. Nella ricostruzione di quel 30 maggio 1994, il figlio di Agostino Di Bartolomei disse che il padre si recò da lui per chiedergli se voleva andare con lui a Salerno, ma rifiutò perché aveva una prova di latino che non poteva saltare, quindi andò a scuola, non prima di aver baciato il padre che era in terrazza, quella dove si è poi tolto la vita, circostanza che ha scoperto un’ora dopo quando lo hanno avvisato dell’accaduto.
LA LETTERA D’ADDIO ALLA MOGLIE MARISA: PERCHÉ AGOSTINO DI BARTOLOMEI SI è SUICIDATO?
«Non c’è un solo motivo dietro un gesto così estremo. Certamente la lettera d’addio è emblematica, forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso è il fallimento del centro sportivo che stava aprendo», racconta il giornalista e commentatore sportivo Giuliano Terenzi nel podcast “Non spegnere la luce“. Il riferimento è all’ultimo messaggio: «Mi sento chiuso in un buco». Ma nessuno in realtà riesci a darsi una spiegazione razionale sul suicidio di Agostino Di Bartolomei. «Secondo me non è giusto cercare le motivazioni, sarebbero solo supposizioni».
Del suicidio di Agostino Di Bartolomei ha parlato anche un suo amico Alberto Mandolesi, radiocronista e commentatore che ha vissuto gli anni nella Roma dell’ex capitano e non dimenticherà mai quel giorno in cui apprese la notizia della tragica morte. Era appena uscito da casa e si trovava in macchina quando lo chiamarono dalla radio dove lavorava per chiedergli di commentare la notizia, ma lui non sapeva ancora nulla. «Ero amico di Agostino, abbiamo capito alcuni disagi ma non abbiamo saputo interpretarli, non potevamo pensare che potesse arrivare a qualcosa del genere», spiegò l’anno scorso. Di Bartolomei ancora oggi è vivo, presente nei cuori dei romanisti che gli vogliono ancora più bene di prima. “Ti hanno tolto la Roma, ma non la tua Curva”, recitava uno striscione degli ultras. Un personaggio epico, mitologico, il capitano triste ma gentile. A lui il cantautore romanista Antonello Venditti anni dopo gli gli ha dedicato la canzone «Tradimento e perdono». C’è una bella strofa che recita così: «Ricordati di me mio capitano/cancella la pistola dalla mano/Se ci fosse più amore per il campione oggi saresti qui». Non è l’unica canzone in memoria di Agostino Di Bartolomei: c’è anche la bellissima canzone «La leva calcistica della classe 1968» ispirata a un campione diverso, normale ma immenso. Nelle bandiere giallorosse che sventolano la domenica, nei primi calci dei bambini alla periferia di Roma, in ogni battito di cuore romanista, Agostino Di Bartolomei continua a vivere. Amato e coccolato dalla sua gente.