La protesta degli agricoltori torna a Bruxelles, con tanto di copertoni e cassonetti dati alle fiamme vicino alla sede dove si stava svolgendo il Consiglio europeo dei ministri dell’Agricoltura. Al di là delle tensioni di piazza, che alla fine lasciano il tempo che trovano, ora l’Unione europea deve rispondere a richieste concrete da parte dei rappresentanti dei produttori agricoli e degli allevatori. Come quelle presentate da Confagricoltura, che proprio nella città belga ha tenuto un’assemblea, ma soprattutto, ha messo sul tavolo dieci proposte per riformare la PAC, la Politica Agricola Comune, chiedendo procedure snelle e rispetto non solo delle norme per la salvaguardia dell’ambiente, ma anche delle esigenze degli agricoltori che devono essere messi in grado di garantire la produttività e la competitività delle loro imprese.



Alla UE, spiega Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, viene chiesto di fare in modo che le aziende europee non vengano penalizzate rispetto a quelle di Paesi extraUE, di ripensare alla norma che impone di far riposare periodicamente i terreni, di migliorare le regole per la sicurezza alimentare. Ma soprattutto di non avallare piani ideologici che non tengano conto della realtà concreta dei produttori. Per questo una delle proposte è di attribuire la vicepresidenza al commissario UE per l’Agricoltura. Che dovrebbe essere un italiano.



Confagricoltura si è fatta portavoce delle critiche degli agricoltori nei confronti della PAC. Quali sono le istanze, presentate al ministro Lollobrigida e agli europarlamentari, che avete raccolto e che rappresentate all’Europa per chiedere un cambio di indirizzo?

I Ministri dell’Agricoltura degli Stati membri si sono riuniti per la sessione mensile del Consiglio. Contemporaneamente nella capitale belga, Confagricoltura ha tenuto la sua Assemblea presso la sede del Copa-Cogeca. Con i delegati regionali e provinciali della Confederazione, abbiamo consegnato alle istituzioni italiane ed europee un manifesto di proposte per cambiare radicalmente l’attuale PAC, sbilanciata verso la tutela ambientale a discapito della produttività e della competitività delle nostre imprese. Il nostro documento, declinato in dieci punti, chiede di aumentare il bilancio europeo destinato all’agricoltura; di varare il “terzo pilastro” della PAC per una gestione comune dei danni da cambiamento climatico; di sospendere l’entrata in vigore di alcuni provvedimenti che minacciano la sicurezza alimentare; di riformulare la proposta sugli imballaggi; di eliminare gli obblighi relativi alla rotazione obbligatoria e alla destinazione non produttiva dei terreni; di semplificare la burocrazia; di puntare sulla reciprocità e sul controllo delle importazioni di Paesi extra UE; di inserire grano e semi di girasole nella lista dei prodotti sensibili; di prevedere una moratoria sui crediti per migliorare la condizione di liquidità delle imprese e di sostenere la diffusione delle innovazioni.



La PAC viene criticata anche dal punto di vista della complessità delle procedure che impone agli agricoltori. Esiste anche un problema burocrazia?

Siamo stati tra i primi a criticare l’attuale PAC che chiede agli agricoltori di diventare dei burocrati. D’altro canto, per applicare le nuove regole, agli Stati membri è stato richiesto di predisporre piani strategici nazionali che si compongono di oltre mille pagine. Serve una drastica semplificazione degli adempimenti burocratici che ci vengono imposti. Finora le risposte della Commissione sono state inadeguate. Abbiamo bisogno di decisioni immediate ed efficaci per consentirci di svolgere il nostro lavoro al meglio. Le proposte di Confagricoltura, infatti, mettono al centro la produttività del settore.

La richiesta che viene dai consumatori è di un cibo sicuro anche per quanto riguarda la provenienza, privilegiando quello europeo. In che modo questa esigenza si scontra con la politica UE e con la necessità imposta ai coltivatori di far riposare i terreni, riducendo così la loro produttività?

Misure di questo genere, introdotte con l’obiettivo di tutelare l’ambiente, frenano la produttività degli agricoltori europei costringendoci a importare cibo che potremmo produrre localmente. È un paradosso considerando che l’autonomia alimentare è uno dei pilastri su cui è stata costruita l’Europa unita. Gli agricoltori sono i primi custodi dell’ambiente ma la sostenibilità ambientale deve anche prevedere una sostenibilità economica. Gli agricoltori, infatti, sono a tutti gli effetti imprenditori.

Uno dei temi ricorrenti riguarda la necessità di adeguati standard di sicurezza per i prodotti che provengono da Paesi fuori dall’Unione europea. Quali sono le vostre richieste su questo punto?

Serve reciprocità. Gli agricoltori europei rispettano standard qualitativi giustamente alti. È necessario che i prodotti provenienti dai Paesi extra-UE si uniformino. Questo in un’ottica di tutela della sicurezza alimentare, della biodiversità, del lavoro e del benessere animale. Ma anche e soprattutto della competitività delle nostre imprese.

A questo proposito come può intervenire la UE anche per evitare forme di concorrenza sleale dall’estero praticando prezzi troppo bassi per garantire qualità al prodotto?

L’Unione europea non ha gli strumenti legali per bloccare le importazioni dai Paesi terzi in funzione del livello dei prezzi. Può ricorrere all’Organizzazione mondiale del commercio se ritiene che esistano condizioni di vendita al di sotto dei costi di produzione. La Commissione, però, dovrebbe intervenire quando i flussi dell’import raggiungono livelli tali da far saltare l’equilibrio sui mercati dell’Unione. Pensiamo a delle clausole di salvaguardia automatiche, quando gli arrivi dai Paesi terzi superano sensibilmente un volume predeterminato. Facciamo, ad esempio, il caso dell’Egitto. A gennaio, le esportazioni di arance nella UE si sono attestate a circa 45 mila tonnellate, il 104% in più rispetto allo stesso mese del 2023.

Al di là delle richieste specifiche quello che viene chiesto a Bruxelles è un cambio di passo nelle politiche agricole: cosa significa in termini di metodo del confronto e di contenuti? Come è possibile trovare un equilibrio fra le esigenze di rispetto dell’ambiente e quelle ugualmente legittime delle aziende agricole?

La transizione green è un processo fondamentale, accolto e incentivato dagli agricoltori che lavorano ogni giorno immersi nella natura. Tuttavia, misure antieconomiche decise ai tavoli senza specifiche competenze sul campo non sono fruttuose; anzi, frenano lo sviluppo di un comparto che, non dimentichiamocelo, è il Settore Primario e, in quanto tale, contribuisce a trainare l’economia. Il Copa, di cui sono vicepresidente in Europa, ha chiesto per il prossimo Commissario UE all’agricoltura la vicepresidenza esecutiva, in modo da rimettere al centro delle politiche europee il comparto. Per l’Italia, inoltre, sarebbe importante esprimere il Commissario. Concetto che è stato ribadito all’Assemblea di Confagricoltura a Bruxelles.

(Paolo Rossetti)

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