Dimenticate vanga, rastrello e innaffiatoio. Chi oggi decide – e sono sempre di più – di dedicarsi all’agricoltura necessita di competenze strutturate e specifiche. Che passano sempre più dal digitale. Lo dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, la strategia europea delineata dal combinato disposto di Farm to fork, riforma della Pac 2023-2027, Next generation Eu, le cui linee di indirizzo prendono le mosse proprio dai nuovi strumenti offerti dalla tecnologia. L’agricoltura 4.0 rappresenta infatti uno dei pilastri sui quali si sta costruendo il futuro dell’agroalimentare in Europa.



Alla base della rivoluzione che sta modificando dalle fondamenta il modo di approcciare la coltivazione della terra, c’è la possibilità di utilizzare anche nei campi i Big Data, termine inglese con cui si identifica una raccolta di dati informativi tanto estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per estrarne valore o conoscenza. La svolta introdotta da questi Big Data è davvero imponente per più ordini di ragioni. Innanzitutto, consente di mettere a punto metodologie e processi in grado di migliorare la profittabilità, sia sotto l’aspetto delle quantità coltivate sia sul fronte dell’abbattimento dei costi. Ma non solo. Permette anche di sostenere significativi progressi in termini di tracciabilità delle produzioni e, in senso più ampio, di sostenibilità. Senza dimenticare la non certo banale capacità di rendere più efficiente l’intera filiera, grazie allo scambio di informazioni tra gli attori coinvolti in tutti i diversi passaggi.



Solo teoria? Tutt’altro. A confermarlo, l’esperienza fatta, letteralmente sul campo, da Abaco Group, player di riferimento europeo nella fornitura di soluzioni software per la gestione e il controllo delle risorse territoriali, orientate principalmente all’agricoltura di precisione e alla sostenibilità ambientale. “Le nostre soluzioni – spiega Antonio Samaritani, Ceo Abaco – consentono di gestire le pratiche agricole relative ad ogni appezzamento e coltura, monitorando l’efficienza nella gestione delle risorse e il corretto uso dei mezzi tecnici. È così possibile ottenere significativi risparmi su più fronti, limitando, per fare solo alcuni esempi, l’utilizzo di acqua e ottimizzando l’uso di fertilizzanti e agrofarmaci. Permettono poi di registrare quanto avviene nelle diverse fasi agricole, raccogliendo, elaborando e valorizzando dati provenienti da fonti interne ed esterne, così da gestire in maniera più efficace l’organizzazione aziendale, potenziandone l’operato. In chiave prospettiva, infine, danno la possibilità di definire strumenti predittivi ad alto valore aggiunto, in grado di supportare chi deve prendere decisioni strategiche”. E non è tutto. “La nostra tecnologia – continua Samaritani – sostiene lo sviluppo di un contesto di relazioni industriali che, grazie all’automazione e al controllo dei processi produttivi, comunichi al mercato e ai consumatori certezze sulla sostenibilità di tutte le fasi produttive”.



L’offerta costruita da Abaco Group rappresenta quindi la perfetta cartina di tornasole di quanto l’Agricoltura 4.0 costituisca uno strumento capace di fare la differenza. E questo non solo per chi lavora nei campi, ma per l’intera filiera agroindustriale. Un comparto che oggi deve fare i conti con la crisi economica globale e con le ripercussioni di cambiamenti climatici avversi. Ma che proprio nella tecnologia potrebbe trovare un volàno per nuove crescite. “L’Agricoltura di precisione – afferma Samaritani – esprime oggi valori ancora piuttosto contenuti: la superficie agricola utilizzata con questa modalità rappresenta solo il 3-5% del territorio agricolo complessivo. Va detto però che il settore in Italia è protagonista di tassi crescita a doppia cifra, nell’ordine del +20% annuo. E la progressione lascia presupporre che le nuove tecnologie applicate al campo si riveleranno una valida rampa di lancio per l’intero nostro comparto alimentare. Certo, non bisogna dimenticare che il nostro Paese sconta una taglia media delle aziende agricole piuttosto piccola rispetto alla media europea e questo incide sulla propensione ad adottare soluzioni all’avanguardia, che più facilmente trovano spazio e accoglienza presso le realtà dimensionalmente più grandi. Ma vero è anche che l’Italia beneficia di una infrastruttura normativa più restrittiva nei confronti di pratiche poco attente alla sostenibilità e questo rappresenta indubbiamente un punto a favore per la diffusione delle soluzioni 4.0 in agricoltura”. Ma vi sono anche altre frecce all’arco dell’utilizzo della tecnologia nei campi. “Se allarghiamo la visione al contesto globale – osserva Samaritani -, emerge chiaramente come il costante aumento della popolazione mondiale imponga la necessità di sfruttare in modo più efficace la terra a disposizione. Una terra che naturalmente non può crescere in dimensioni. E la risposta a questa esigenza passa proprio attraverso le soluzioni 4.0, che assicurano un incremento della produzione nel rispetto dell’ambiente. Si aggiunga inoltre che tutte le strategie di indirizzo contenute nei principali documenti programmatici a livello sia europeo sia italiano si muovono nella direzione di un’agricoltura chiamata a diventare sempre più sostenibile. Un obiettivo che, ancora una volta, può essere raggiunto proprio anche grazie al contributo offerto dalla tecnologia”.

Vi è insomma una convergenza tra la spinta verso il green perseguita dalle aziende – e richiesta dal consumatore -, e l’indirizzo politico intrapreso tanto a Bruxelles quanto a Roma. Un connubio che fa ben sperare per il futuro. “Le premesse – nota Samaritani – sono positive: si pensi, ad esempio, a quanto fatto per incrementare l’utilizzo di nuove tecnologie in agricoltura adottando le misure di defiscalizzazione del programma agricoltura 4.0. Ora è importante mettere a sistema quanto già disegnato a livello normativo”. Come pure potrà rivelarsi utile favorire una più stretta collaborazione tra pubblico e privato. “In questa prospettiva – prevede Samaritani – potrà essere di stimolo una maggiore condivisione dei dati, pur nel pieno rispetto delle esigenze di privacy e sicurezza. E per questo, sarà auspicabile attivare o rafforzare un dialogo costante e lavorare per avvicinare le diverse culture delle due parti”.

Si tratta insomma di costruire un humus fertile nel quale fare crescere e sviluppare l’evoluzione tecnologica. “Un terreno – sostiene Samaritani – che dovrà valorizzare in particolare le soluzioni di machine learning, sistemi che apprendono o migliorano le performance in base ai dati che utilizzano. E ancora, che dovrà valorizzare la capacità di interpretare i dati alla luce delle correlazioni che possono emergere da analisi multidisciplinari, nella quali saranno destinate a recitare un ruolo di primo piano le competenze dei data scientist e dei professionisti degli analytics”. Occorrerà però fare attenzione a non rendere totalizzante il ricorso alla scienza. “La presenza dell’uomo – conclude Samaritani – resta e resterà insostituibile”.

(Manuela Falchero)

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