La crisi energetica, esasperata dal conflitto tra Russia e Ucraina, ha riportato alla ribalta l’importanza delle fonti energetiche rinnovabili rispetto a quelle fossili, come carbone, gas naturale e petrolio. Queste coprono il 78% del fabbisogno energetico nazionale e sono responsabili delle elevate emissioni di gas serra (CO2, CH4, NO2), ritenuto la principale causa del global warming.
Ne consegue la necessità di ridurre la presenza dei “gas climalteranti” nell’atmosfera, con l’obiettivo dichiarato di mantenere entro la fine del secolo l’incremento della temperatura globale sotto i 2°C, rispetto ai livelli di due secoli fa (accordo di Parigi del 2015). Su questa strada la Commissione europea ha poi annunciato l’adozione del Green Deal, un progetto che ha come traguardo la neutralità climatica dell’Europa entro il 2050.
Sono entrambi obiettivi ambiziosi a cui il contributo del sistema agroalimentare può essere determinante. Basti pensare alle agroenergie, intese come quelle energie ricavate dai processi e prodotti derivanti da imprese agricole, zootecniche, forestali. Si stima che esse possano soddisfare quasi il 50% dei consumi di energia da fonti rinnovabili e l’8,7% di quelli totali (fonte: Gestore Servizi Energetici, 2019).
Alla base delle agroenergie ci sono le biomasse utilizzate come combustibile. Cosa sono le biomasse? Sono qualsiasi materia organica di origine animale (deiezioni, letame, …) o vegetale (piante, semi, …) che si è formata in tempi recenti, quindi da non confondere con i combustibili fossili, anche loro di origine organica, ma formatisi milioni di anni fa.
Il vantaggio dell’uso delle biomasse per produrre energia, rispetto ai combustibili fossili, risiede principalmente nella loro ridotta emissione di gas serra, principalmente CO2, nell’ambiente. È poi interessante notare che grazie al processo della fotosintesi noi siamo doppiamente debitori alla “biomassa pianta”: oltre ad assorbire l’anidride carbonica essa aumenta l’ossigeno nell’aria.
Ma c’è molto di più. Bruciando per produrre energia (calore), la biomassa emette certamente CO2, ma è la stessa CO2 che aveva precedentemente assorbito dall’atmosfera per svolgere il processo della fotosintesi: quindi abbiamo un “ciclo chiuso del carbonio” e perciò la biomassa non contribuisce all’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera, cosa che non possiamo altrettanto dire per i combustibili fossili (se non per tempi remotissimi). Lo stesso ragionamento vale per le biomasse di origine animale, avendo il bestiame assunto per la sua nutrizione biomasse vegetali.
Importante è utilizzare al meglio le diverse biomasse disponibili, per poter cogliere appieno le opportunità che esse offrono. Abbiamo biomasse che si sviluppano spontaneamente in natura, il legno. Altre che sono residui di coltivazioni o di attività zootecniche. Oppure possono essere piante coltivate appositamente a scopi energetici e non alimentari, ad esempio la colza.
Sono molteplici i processi di conversione della biomassa al fine di procurare dell’energia e tra i principali c’è senz’altro quello che utilizza l’azione metabolica di organismi microbici. I prodotti finali possono essere combustibili liquidi e gassosi: tra i primi, bioetanolo e biodiesel e poi il biogas, miscela di metano (50-60%, ma dopo il trattamento di upgrading anche 95-99%) e anidride carbonica (utilizzata in ambito alimentare), prodotto in ambiente anaerobico in un digestore. Al suo interno, dopo la produzione del biogas, rimane un residuo (digestato) che può essere usato come fertilizzante organico, anche se recentemente l’Ue ha posto dei vincoli di natura ecologica: un esempio di economia circolare.
Certamente l’utilizzo delle biomasse per l’ottenimento di “energia pulita” non è esente da diverse problematiche, come per esempio il consumo di energia necessario per il loro trasporto. Oppure, l’utilizzo di terreni per seminare colture (girasole, soia, colza, …) ad uso energetico, sottraendoli alle coltivazioni per scopi alimentari.
La sfida è aperta, ma credo che queste semplici e limitate considerazioni svolte, evidenzino la connessione esistente tra i più urgenti problemi che si stanno proponendo all’umanità, la fame nel mondo, la carenza di energia e i cambiamenti climatici.
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