La stagione agraria, che si è conclusa con la raccolta del mais, ha dovuto misurarsi con un aumento di quelli che vengono chiamati comunemente “eventi estremi”, quali onde di calore, prolungata siccità, piogge intense; manifestazioni attribuibili ai cambiamenti climatici in atto.
Di fronte a questi mutamenti diventa indispensabile studiare per ciascuna attività produttiva delle soluzioni di mitigazione (interventi atti a limitare o controllare le emissioni di gas serra) e di adattamento (capacità dei sistemi antropici di adattarsi per rispondere ai cambiamenti climatici e ai loro effetti), che necessariamente dovranno confrontarsi con una vasta gamma di argomenti ambientali. Una sfida epocale quella di nutrire il pianeta attraverso un’agricoltura sostenibile. Una sfida che dovrà tenere presente il previsto aumento demografico e del dato che l’80% del cibo nei Paesi in via di sviluppo è prodotto da piccole aziende che hanno uno scarso accesso a fonti di energia, a fertilizzanti e a sementi certificate.
Per quanto riguarda le misure di mitigazione ricordiamo che l’agricoltura, le foreste e gli altri usi del suolo (AFOLU – Agriculture, Forestry and Other Land Use) hanno un ruolo unico e fondamentale nei confronti dei cambiamenti climatici, contribuendo per circa il 23% alle emissioni antropiche globali di gas ad effetto serra (Ipcc, 2019). Nel contempo assorbono la CO2 atmosferica attraverso i processi fotosintetici con il conseguente accumulo di carbonio nella biomassa (viva e morta) e nel suolo. In particolare, circa il 50% di CO2 è assorbita dall’agricoltura (Zeng e altri, 2014) e solo il 12% di quanto ha in precedenza assorbito viene rimesso in circolazione dal settore agro-zootecnico.
Affrontando le misure di adattamento per i sistemi agricoli, è doveroso ricordare che, oltre ai cambiamenti climatici, anche i processi di degradazione del suolo (erosione superficiale, urbanizzazione, perdita di sostanza organica, compattazione, contaminazione) influiscono sulle produzioni finali, riducendo la superficie di suolo coltivabile per individuo, con una stima da 0,45 ettari (1961) a 0,1 ettari nel 2050 (Eu-Soil Thematic Strategy). Gli interventi da adottare riguardano il contenimento degli stress idrici e termici alle colture, perché procurano l’aumento della frequenza e dell’intensità dei periodi di siccità, con alte temperature massime e con piogge intense.
Esistono anche effetti indiretti dei cambiamenti climatici sulle coltivazioni, come per esempio l’incremento delle temperature medie. Il loro aumento favorisce alcune colture primaverili-estive a ciclo indeterminato (l’apice del fusto che non si differenzia mai in infiorescenza, ma permane allo stato vegetativo continuando a produrre foglie) come pomodoro e soia e sfavorisce altre colture come il frumento, accelerandone lo sviluppo. Si potranno anche osservare fitopatologie prima assenti e la comparsa di nuove specie di insetti dannosi.
Queste brevi considerazioni ci fanno capire che non esiste una risposta semplice e unica al mutare di una condizione esterna (per esempio, la temperatura), ma la risposta dipenderà dalla specie, dallo stadio fenologico, dal sistema colturale e dalle specifiche condizioni ambientali (come le precipitazioni) dell’area considerata. Comunque, in generale, in una strategia di gestione aziendale, le misure di adattamento ai cambiamenti climatici dovranno sempre di più avvalersi di:
• strumenti di monitoraggio del suolo, delle piante e del clima;
• sistemi di supporto alle decisioni aziendali (DDS: Decision Support System);
• miglioramenti della pratica agricola;
• miglioramenti delle infrastrutture;
• utilizzo di nuovi genotipi.
E’ poi necessario – per individuare con chiarezza le aree prioritarie di intervento e le soluzioni più promettenti – valutare con attenzione gli effetti del cambiamento climatico, nelle sue diverse componenti, sulla produttività e la qualità delle colture.
Un esempio: una recente sperimentazione (Blandino e altri: Informatore Agrario n. 27, 2022) ha confermato che l’aumento della CO2 nell’atmosfera ha determinato un incremento produttivo di granella di frumento tenero del 16%, a scapito di una riduzione dell’1% del contenuto proteico: il minor contenuto proteico nelle farine rappresenta un problema per gli impieghi in panificazione.
Occorre comunque evidenziare che i cambiamenti climatici, oltre che influire sul sistema agricolo-forestale in modo non lineare, procurando rischi e difficoltà, possono anche offrire opportunità. Infatti l’accordo di Parigi del 2015 ha affidato al sistema AFOLU un ruolo chiave per compensare alcune emissioni residuali difficilmente comprimibili, procurate dalle produzioni alimentari e dei rifiuti.
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