Gentile direttore,
dopo la mia lettera, in cui nella discussione tra agricoltura biologica e convenzionale sostenevo la necessità di “non sostituire la realtà con le nostre idee” (segnalavo come esempio di una strada percorribile quella del residuo zero), vorrei ora evidenziare un dato spesso offuscato nel dibattito tra le diverse forme di agricoltura.
In media, solo il 50% della produzione potenzialmente ottenibile in pieno campo è raccolta dagli agricoltori di tutto il mondo (fonte: Fao) e le perdite di raccolto non sono dovute esclusivamente alla presenza di malattie causate dai patogeni (fattori biotici), ma, soprattutto, da stress ambientali (fattori abiotici), quali ad esempio la disponibilità di acqua e la sua elevata salinità, le temperature di coltivazione, l’intensità luminosa e la presenza di metalli pesanti nel terreno. In sostanza questi “fattori abiotici” quando sono in eccesso o in scarsità possono stressare le piante coltivate riducendone la produttività fino al 70% in alcune colture più importanti (Boyer, 1982).
Si capisce quindi l’importanza di non concentrare tutto il dibattito, quasi sempre sopra le righe, solo sulla lotta a patogeni (funghi, insetti) e malerbe, discutendo se sia meglio adottare metodi biologici o convenzionali o integrati, eccetera, ma si dovrebbe considerare maggiormente la necessità di come rendere le piante più performanti nei confronti degli stress ambientali sopra elencati.
Ecco quindi l’interesse e il valore del miglioramento genetico delle colture (Tecnologie per l’evoluzione assistita) e dal punto di vista più strettamente agronomico l’impiego di una nuova tipologia di prodotti che hanno ricevuto la loro ufficialità a luglio 2022 con l’entrata in vigore del nuovo regolamento Ue 2019/1009: sono i biostimolanti (sostanze umiche, proteine idrolizzate, estratti d’alghe marine, microrganismi, già normati in Italia tra i fertilizzanti dal 2010), cioè quei prodotti che hanno la capacità di migliorare l’assorbimento dei nutrienti dal terreno, di ridurre l’uso dei prodotti fitosanitari (pesticidi), di aumentare la produzione e la qualità dei prodotti alimentari, rispondendo quindi alle sfide globali di food security e dei cambiamenti climatici.
A tal proposito ricordiamo che l’agricoltura è identificata come “settore economico primario” (durante il lockdown credo che si sia capito perché è primario) e che il suo sviluppo sarà condizionato dall’aumento della popolazione terrestre (nel 2050 circa 10 miliardi di persone, stima Onu 2019) che dovrà essere sfamata; e se non vogliamo aumentare la superficie coltivata, favorendo il disboscamento, è necessario aumentare la produzione per unità di superficie rispettando l’ambiente.
Queste considerazioni pongono il settore agricolo davanti alla sfida della “ecologia integrale” (papa Francesco, Laudato si’) dove tutto è connesso e quindi è necessario evitare che l’ambiente come risorsa minacci l’ambiente come casa. Ma quale può essere la strada per “non sostituire ancora la realtà con le nostre idee” e cadere in contrapposizioni solo ideologiche?
La suggerisce San Giovanni Paolo II nella Evangelium Vitae: quella di posare sulla natura quello stesso sguardo che il Creatore ha poggiato su ciascuno di noi, “cioè di vedere la vita nella sua profondità, cogliendone le dimensioni di gratuità, di bellezza, di provocazione alla libertà e alla responsabilità, cioè quella di un dono”.
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