Un’agricoltura più sostenibile è data da coltivazioni più resistenti ai cambiamenti climatici, meno attaccabili dai parassiti, che non temono la siccità e richiedono meno fertilizzanti. Si tratta di una transizione dei sistemi produttivi agricoli che passa attraverso il miglioramento genetico delle specie vegetali. Nei laboratori delle università italiane sono state sviluppate diverse specie di varietà agricola migliorate che sono pronte per essere sperimentate in campo. Purtroppo, per decenni, queste scoperte, pur dimostrando risultati sorprendenti in termini di miglioramento nutritivo e resa più elevata, sono rimaste segregate in provetta, a causa di un opaco limbo regolatorio con rimpalli tra Bruxelles e Roma.



Finalmente lo scorso 30 maggio all’unanimità è stata approvata al Senato la norma che autorizza la sperimentazione in campo delle piante ottenute mediante le Tecniche di evoluzione assistita (Tea). Non si tratta semplicisticamente di un trasformismo semantico per far passare sotto una sigla nuova i demonizzati Ogm, ma apre alla sperimentazione per fini scientifici delle tecnologie di editing genomico e della cisgenesi. Nel caso di un organismo vegetale è possibile intervenire sui geni o singole parti del gene introducendo geni da specie affini sessualmente compatibili con cui la pianta normalmente si incrocia/accoppia. Le tecniche di evoluzione assistita rappresentano un restringimento del perimetro di selezione rispetto agli Ogm dove queste mutazioni si realizzano anche ibridando fra regni diversi come batteri o animale. La tecnica abilitante per interventi mirati ad alta precisione nell’ingegneria genetica applicata in ogni campo si chiama Crispr, i “bisturi molecolari” di precisione messi a punto 11 anni fa dalle scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna poi insignite del Nobel per la scoperta.



Per il sistema scientifico nazionale aprire all’innovazione genetica nel rispetto del principio di precauzione è indispensabile per garantire la competitività e la sostenibilità delle produzioni agricole nazionali alla stregua dei cambiamenti climatici. Dagli agrumi al pomodoro, al riso, frumento, mais e vite, alcune dei brevetti pubblici di cultivar “edidati” pronti per le sperimentazioni in campo. Le coltivazioni Tea sono sottoposte a stringenti controlli che i campi di analoghe varietà “naturali” neppure si sognano. Ma sull’immissione sul mercato delle Tea ci vorrà tempo. “Aspettiamo una norma europea che regoli le New Genomic Techniques, Ngt, questo il termine internazionale della traduzione nostrana di Tea, formalmente ancora sotto il cappello di Ogm secondo la definizione nella Direttiva sugli alimenti e mangimi geneticamente modificati che risale a oltre 20 anni fa (e tanti progressi, ndr). Mancano anche leggi sui piani di coesistenza tra diverse colture di piante di differente origine”, spiega Deborah Piovan, agronoma e imprenditrice agricola esperta di tematiche sull’innovazione e sostenibilità nell’agricoltura.



“Con il voto di martedì sulle nuove tecniche di miglioramento genetico l’Italia ha voltato pagina dopo anni di oscurantismo antiscientifico bi-partisan, che impediva ai ricercatori pubblici italiani di lavorarci per migliorare la salute e l’ambiente. È necessario investirci senza ideologie o pregiudizi”, chiosa il ministro per l’Agricoltura e la Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida.

Bene, un’asimmetria è stata finalmente rimossa. Ma come ci ricorda Piovan, non facciamo finta di dimenticare che intanto in Italia si importano Ogm mentre agli agricoltori italiani continua a essere vietato coltivarli.

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