Dallo scorso 15 dicembre è entrato in vigore il nuovo decreto legge 198/2021. Recepisce la direttiva (UE) 2019/633 e riguarda il contrasto alle pratiche sleali. Si applica a tutte le relazioni b2b tra fornitori e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari aventi sede sul territorio nazionale. E tutti i contratti dovevano essere adeguati entro il 15 giugno. La normativa dettaglia quali pratiche sono strettamente vietate e quali possono essere attuate, purché le parti siano concordi. E le sanzioni previste per chi viola i termini stabiliti dal decreto sono severissime. Abbiamo parlato con Roberto Cerminara, responsabile del settore commercio e legislazione di impresa di Confcommercio, per farci spiegare cosa cambia per le aziende agroalimentari italiane.
Qual è, in breve sintesi, il contenuto del nuovo D. Lgs. 198/2021?
Il nuovo decreto legislativo recepisce una direttiva comunitaria. I contenuti possono essere raggruppati in tre macro aree: l’obbligo di forma scritta per i contratti di cessione di tutti i prodotti agricoli e alimentari, la durata dei contratti e il divieto di fare ricorso, nell’ambito della contrattazione, ad alcune pratiche definite “sleali”. Altre pratiche, contenute nella cosiddetta “lista grigia”, possono essere adottate solo previo accordo consensuale tra le parti.
Facciamo chiarezza: che cosa si intende, a livello giuridico, per “pratica sleale”?
Si intendono alcune specifiche pratiche commerciali, che, nei rapporti tra fornitori e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari, sono vietate. Tutte quante queste pratiche sono esplicitate negli articoli 4 e 5.
Qual è l’ambito di applicazione del nuovo decreto legislativo?
Occorre, a questo punto, fare una premessa: questa normativa non è completamente nuova per l’Italia. Il nostro Paese, infatti, era fra i pochi che, dieci anni fa, si erano dotati di un sistema di tutela delle relazioni tra i fornitori e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari. Lo aveva fatto con l’articolo 62 del D. Lgs. 01/2012, il famoso “Decreto Monti”. Solo successivamente, nel 2019, è stata approvata una normativa comunitaria, che è stata recepita nel nostro Paese con il D. Lgs. 198/2021, appunto.
Cosa cambia dunque?
La nuova normativa si applica solo nei rapporti b2b, dunque nelle relazioni tra acquirenti e fornitori di prodotti agricoli e alimentari. L’altro elemento sostanziale è che il fornitore deve avere la sede nel territorio nazionale. L’articolo 62, invece, trovava applicazione in tutte le contrattazioni che avvenissero sul territorio nazionale, indipendentemente dallo stato di stabilimento del fornitore.
Quali altre differenze oltre all’ambito di applicazione?
Adesso la normativa è molto più estesa e dettagliata. L’elenco di pratiche sleali vietate, oggi individuate negli articoli 4 e 5, non era così approfondito. Tra le principali: l’annullamento, da parte di un acquirente, di un ordine di prodotti deperibili, che non abbia un preavviso di almeno 30 giorni. Oppure, la modifica unilaterale, da parte dell’acquirente o del fornitore, delle condizioni del contratto, relative ad esempio alla frequenza, al metodo o al luogo di consegna. Un’ulteriore grande area di pratiche sleali vietate riguarda la richiesta al fornitore di pagamenti che non siano direttamente e strettamente connessi alla fornitura di prodotti agricoli, come i contributi per la pubblicità o l’esposizione in una posizione di rilievo nel punto vendita. O ancora, il rifiuto di confermare per iscritto un ordine. Insomma, la relazione tra i due soggetti – colui che vende e colui che acquista – viene analizzata nel dettaglio e la legge interviene stabilendo come ci si deve comportare.
E le”‘liste grigie”?
Sono pratiche commerciali che astrattamente sarebbero vietate, ma che, in realtà, possono essere ritenute lecite a condizione che, prima dell’avvio del rapporto, siano state concordate in forma scritta tra le parti. Una pratica “grigia” molto comune è la restituzione, da parte dell’acquirente al fornitore, di prodotti agricoli che siano rimasti invenduti. Un’altra pratica molto frequente riguarda la richiesta al fornitore, da parte dell’acquirente, di accettare un pagamento affinché il fornitore faccia immagazzinamento dei prodotti acquistati fino alla loro messa in commercio.
Il decreto fissa la durata minima dei contratti a 12 mesi, come devono adeguarsi le aziende che realizzano prodotti stagionali?
Questa è un’altra grande novità: l’obbligo della durata minima. Ci sono, però, delle eccezioni. Non si applica ai prodotti stagionali (non è possibile prevedere contratti di durata annuale se il prodotto non è disponibile) e quando il contratto di cessione riguarda quando l’acquirente esercita l’attività di somministrazione di alimenti e bevande. Tutti i pubblici esercizi sono cioè esentati dall’applicazione di questo vincolo di durata. Dovremo vedere in questi mesi come verranno applicate queste eccezioni, e non solo. Ad esempio, come gestire le cosiddette “cessioni estemporanee”? Questo genere di contrattazione soffrirà perché diventerà difficile costruire contratti di un anno. Sarà dunque necessario fare leva sulle pieghe della normativa.
In quali circostanze e secondo quali modalità è concessa la vendita sottocosto di prodotti agricoli e alimentari freschi e deperibili?
Anche questa è una novità. In Italia c’è una normativa ventennale sul sottocosto. E pure su questo punto è intervenuto il D.Lgs. 198 affermando che la vendita sottocosto dei prodotti agricoli e alimentari, freschi e deperibili, è consentita solo nel caso di prodotto invenduto e a rischio di deperibilità, oppure nel caso di operazioni commerciali programmate e concordate con il fornitore in forma scritta. Questa dizione dà qualche problema: cosa vuol dire “invenduto”? Se un prodotto è ancora in negozio significa che è invenduto. Speriamo quindi in un’applicazione ragionevole di queste disposizioni.
Quali compiti svolgono l’Icqrf e l’Agcm?
Con il nuovo decreto, l’Agcm esce di scena. L’autorità incaricata del controllo dell’applicazione della normativa è ora l’Ispettorato per il controllo della qualità e la repressione delle frodi (Icqrf). È una scelta più penetrante perché l’Icqrf, a differenza dell’Antitrust che ha sede esclusivamente a Roma, è strutturato in sedi almeno regionali. Questo soggetto è dunque più diffuso sul territorio e vicino alle imprese.
Le sanzioni previste sono particolarmente severe: spieghiamole.
Mi limiterò alla spiegazione degli aspetti più salienti. Se un soggetto viola l’obbligo di forma scritta, la sanzione può arrivare fino al 5% del fatturato e parte da un minimo di 2mila euro. Se invece viene stipulato un contratto di durata inferiore ai 12 mesi senza alcuna giustificazione, la sanzione arriva al 3,5% del fatturato e il minimo edittale è di 10mila euro. O, ancora, il mancato rispetto dei termini di pagamento prevede una sanzione pari a fino al 3,5% del fatturato e parte da un minimo di mille euro. La violazione della blacklist, quindi l’inserimento in un contratto di una pratica vietata, comporta una sanzione fino al 5% del fatturato con un minimo di 30mila euro.
(Elisa Tonussi)
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