In Italia l’agroalimentare risulta tra i settori più colpiti dai rialzi e uno dei principali centri di trasmissione dell’inflazione. E questo a causa del suo ruolo nell’economia e della sua dipendenza dall’estero per prodotti energetici, materie prime e beni intermedi che lo rendono particolarmente vulnerabile alle tensioni su mercati internazionali. Lo provano i dati: nel nostro Paese la crescita media dei prezzi nel settore ha raggiunto il +8,1%. Un valore importante che però risulta più contenuto rispetto alla media dell’Ue (10,2%) e dell’Eurozona (9%), dove meglio di noi ha fatto, per esempio, la Francia che, grazie al suo maggior grado di autosufficienza alimentare ed energetica, è riuscita a contenere gli incrementi degli alimentari a un +6%.
A dirlo è il Rapporto Ismea sull’agroalimentare italiano, che ha visto confrontarsi sui temi dell’inflazione, dei rapporti nella filiera e della competitività internazionale esperti, esponenti della comunità scientifica e Presidenti delle principali sigle associative dell’intera filiera, dalla parte agricola (Alleanza Cooperative Italiane, Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri) alla trasformazione industriale (Federalimentare) alla distribuzione (Confcommercio, Ferderdistribuzione, Fipe, Italmercati) e del Commercio estero (Ice).
Lo studio rivela, insomma, luci e ombre. Confermate anche da altri indicatori. Da un lato, infatti, Ismea sottolinea come l’impatto della crisi sugli acquisti alimentari domestici sia stato significativo, con volumi in riduzione (-3,7% nel 2022 secondo Istat), scontrini in aumento (+5%) e una ricomposizione del carrello guidata dalle esigenze di risparmio e dagli effetti dell’aumento della spesa incomprimibile per l’abitazione sul budget disponibile per l’alimentazione. Dall’altro lato, però, il Rapporto fa anche notare come, pur in presenza dei consueti effetti asimmetrici dell’inflazione, l’analisi della trasmissione dei prezzi lungo la filiera agroalimentare non abbia evidenziato fenomeni speculativi su larga scala a carico di nessuna delle fasi. La filiera – è la positiva conclusione dell’analisi – è stata in grado di mantenere sotto controllo le variazioni dei prezzi, rallentando e diluendo nel tempo gli incrementi a valle, ovvero praticati al consumatore.
Come dire, insomma, che l’agroalimentare italiano si conferma un pilastro sano della nostra economia. Di cui è uno dei principali motori: sempre il Rapporto Ismea, infatti, rileva come il settore si collochi al terzo posto in Ue per valore alla produzione agricola. Una medaglia di bronzo dal sapore amaro, però, se si considera che la siccità ha fatto retrocedere il nostro Paese di un gradino sul podio, dove è oggi preceduto da Francia e Germania. Meglio invece fa la produzione industriale: anche qui l’Italia si posiziona al terzo posto nella graduatoria dei Paesi Ue, ma fa segnare un trend migliore rispetto ai principali partner. Un risultato incoraggiante, dunque, per l’industry del Paese che – va ricordato – copre circa il 12% del valore aggiunto totale europeo, dopo Germania e Francia, ma sopra alla Spagna. E che riesce a eccellere spinta (anche) dalla leadership ottenuta dal comparto pastario (oltre il 73% del fatturato dell’Ue) e dal ruolo di rilievo recitato nel vino (28%), nei prodotti da forno e biscotti (21%), nonché negli ortofrutticoli trasformati, nell’industria del caffè, del tè e delle tisane e nell’industria molitoria e del riso, tutte categorie dove l’Italia incide per il 17% del fatturato europeo.
Sono invece tutti positivi i riscontri che vengono dall’export: nell’ultimo decennio – ricostruisce lo studio di Ismea – le nostre esportazioni sono cresciute al ritmo del 7,6% all’anno, ben maggiore di quello registrato a livello mondiale (+5,6%). E così la quota di mercato del Bel Paese è passata dal 2,8% del 2012 al 3,4% nel 2022. Un valore in linea con quello della Spagna, anch’essa contraddistinta da uno spiccato dinamismo dell’export, ma ancora inferiore ai risultati di Germania e Francia, che nel 2022 incidono rispettivamente per il 4,8% e 4,3%, ma che sono anche protagoniste di un trend al ribasso.
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