La storia di Nike inizia negli anni Sessanta, ma è nel 1984, con il contratto faticosamente firmato con Michael Jordan, che avviene “il grande salto”. Sonny Vaccaro (Matt Damon) è chiamato in Nike per scoprire talenti del basket con cui collaborare per promuovere la marca oltre al mondo del running, per il quale si era affermata fin dalle sue origini in America. La sfida sembra complicata, poiché tutti i grandi atleti preferiscono Converse o Adidas. Ma forse, con un po’ di strategia, è possibile convincere l’atleta afro-americano, a quel tempo ancora solo una giovane promessa.



“L’eroe per caso” della sterminata filmografia americana torna al cinema, nei panni di Matt Damon, modesto talent scout dall’incrollabile volontà di autoaffermazione che regala a Nike l’affare del secolo. Una storia strombazzata da un trailer un po’ commercialotto, costruito per piacere un po’ a tutti. Una storia imprenditoriale eccezionale, segnata da uomini eccezionali, raccontata con un po’ di compiacimento e una spruzzata di macchiettismo. Ma la storia di Nike eccezionale lo è davvero. Per come è nata, per come è stata pubblicizzata, per quello che è diventata.<



Phil Knight, neolaureato a Stanford, iniziò nel 1962 vendendo scarpe importate dal Giappone (le Onitsuka Tiger) dal baule della sua auto. In meno di dieci anni divenne un progetto imprenditoriale ambizioso, firmato dall’iconico swoosh (pagato la miseria di 35 dollari) e da un nome memorabile, ispirato all’omonima dea della vittoria greca, figlia di Pallante e Stige. Negli anni Ottanta, Nike era ancora nelle retrovie, con il 17% del mercato americano, a inseguire la tedesca Adidas (29%) e l’americana Converse, padrona del mercato con il suo 54%.

Ma poi nacque “Just do it” dal genio creativo di Dan Wieden (una frase che in molti oggi esibiscono sulle proprie t-shirt), accompagnato da una comunicazione pubblicitaria a dir poco rivoluzionaria, e l’inscindibile partnership con Jordan, di cui racconta il film la storia.



Nike è oggi un lovemark, compagno di strada di molti sportivi. Una marca adorata dai più, sporcata nel passato da politiche irresponsabili, ma oggi baluardo di differenze e impegno sostenibile, ispiratrice di energie positive.

Il film è lo spot del sogno americano, del crederci fino in fondo, della sfida impossibile che prima Phil Knight, poi Sonny Vaccaro riescono a vincere, contro tutto e contro tutti. Vediamo in loro un eroismo quasi dimostrativo che non compromette la credibilità, né la gradevolezza del film, capace di sbattere lo spettatore nel mezzo della sfida. Tra gli attori del cast c’è Viola Davis, attrice sopraffina, madre di un giovane Jordan che quasi non vediamo e che, nell’arco di due ore, si trasforma da promettente rookie in stella imperitura del basket. La più splendente di tutte.

Oggi, grazie all’accordo tra Nike e il giocatore, la società fattura oltre 3 miliardi di dollari all’anno, solo grazie al marchio Jordan.

Un film godibile, che ci mostra solo di passaggio i colorati e coloriti anni ’80, il basket giocato e, più da vicino, il magico mondo delle sneakers e le delle strategie del marketing sportivo.

Tra parentesi, la prima Jordan, volutamente rossa contro le regole dell’NBA, è divenuta subito un’icona.

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