“Per contratto di locazione breve si intende un contratto di locazione di immobile a uso abitativo, di durata non superiore a 30 giorni (…) I dati relativi alle locazioni brevi devono essere trasmessi entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del contratto. L’adempimento riguarda coloro che esercitano attività di intermediazione immobiliare e coloro che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da affittare. Gli intermediari che intervengono nel pagamento o incassano i canoni/corrispettivi relativi ai contratti di locazione breve devono effettuare, su quelle somme, una ritenuta del 21%, da versare tramite modello F24”. 



Perdonate l’incipit burocratico (made Agenzia delle entrate), necessario però per capire di cosa stiamo parlando: le locazioni brevi, un universo in continua espansione ma che spesso nasconde preoccupanti buchi neri. Adesso sulla materia è intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con un’interessante sentenza. Il caso preso in esame riguarda la legge belga che obbliga gli intermediari, inclusi i portali di prenotazione, a comunicare all’amministrazione finanziaria i dati degli host e i loro recapiti, nonché il numero di pernottamenti e le unità abitative gestite nell’anno precedente, per identificare i soggetti debitori di un’imposta regionale sugli esercizi ricettivi turistici e i loro redditi imponibili. A giudizio della Corte, la norma belga ricade nel settore tributario e deve di conseguenza essere considerata esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva sul commercio elettronico, come invece aveva chiesto Airbnb. I portali saranno quindi tenuti a comunicare i dati richiesti dall’amministrazione. 



La Corte tornerà presto a occuparsi della materia, esaminando il caso Italia, con la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato italiano nell’ambito della causa sul decreto-legge n. 50 del 2017, ai sensi del quale i portali devono operare una ritenuta del 21% sull’ammontare dei corrispettivi riscossi per conto delle locazioni brevi non imprenditoriali e devono trasmettere all’Agenzia delle entrate i dati relativi ai contratti di locazione breve conclusi tramite i portali stessi. Ebbene, secondo le stime elaborate dal Centro studi di Federalberghi, che monitora costantemente il mercato online con la collaborazione di tre enti indipendenti (le italiane Incipit Consulting srl e EasyConsulting srl e la statunitense Inside Airbnb), nei cinque anni di mancata applicazione della norma, Airbnb ha omesso di versare imposte per oltre 750 milioni di euro.



Non è una questione marginale: per l’industria dell’ospitalità l’affitto breve è un diretto concorrente dell’hotellerie, un competitor che però sembra godere di vantaggi, sperequazioni, distrazioni. Soprattutto nelle città d’arte, che tra l’altro sono state quelle più colpite dagli effetti della pandemia. L’esempio limite è Venezia. Secondo Ocio (acronimo che sta per Osservatorio CIvicO sulla casa e la residenza), gruppo che dal 2018 analizza la situazione abitativa di Venezia, nella città insulare (comprese Murano e Burano) i posti letto nelle strutture ricettive del settore non alberghiero erano meno di 12 mila nel 2008, divenuti 40 mila nel 2019. “Il boom – sostengono i ricercatori di Ocio – si è registrato tra il 2016 e 2018. Nel 2018 il numero totale di posti letto immessi nel mercato turistico ha raggiunto quello dei residenti, oltre 50 mila unità. Nonostante l’Italia risulti tra i primi Paesi in Europa e nel mondo per numero di appartamenti in locazione turistica, a differenza di altri, come ad esempio la Francia (dove la legislazione è statale ma alcune città individuate dalla legge, tra cui Parigi, possono adottare ulteriori restrizioni), non presenta una mirata regolamentazione del fenomeno. Un primo tentativo in tal senso è stato fatto con la proposta di un emendamento al dl Milleproroghe, presentato nel gennaio 2020 nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio. Emendamento che ha trovato una forte opposizione e che è stato quindi bocciato”.

Il problema, ovviamente, non è solo di Venezia o dell’Italia, e sono tanti i Paesi dove si cerca di imporre correttivi alla deregulation. Tra gli interventi più recenti, la municipalità di Amsterdam ad esempio già dal 2020 ha vietato di affittare camere o interi appartamenti in tre distretti del centro storico e ha introdotto negli altri quartieri l’obbligatorietà della richiesta della licenza e della comunicazione di ogni affitto in anticipo. Inoltre, l’affitto della propria casa non potrà superare i trenta giorni all’anno. A Lisbona invece il piano è la riconversione delle locazioni turistiche rimaste vuote in affitti a prezzi accessibili per lavoratori stabili della città. Sono tutti tentativi, e non è detto che siano sufficienti a normalizzare il mercato, vista la grande domanda che continua nel tempo, soprattutto post-pandemia. 

Bisognerebbe iniziare – sostiene Ocio – da un preciso censimento dell’esistente, per procedere con “controlli sull’applicazione reale della regolamentazione, che per essere efficaci non possono gravare solo sulle autorità locali o nazionali. Per questo, è indispensabile chiedere che le piattaforme digitali, come Airbnb, collaborino nel controllo di quanto ospitato nei loro siti web, perlomeno in due modi: fornendo ai Comuni i dati aggiornati su annunci e prenotazioni che avvengono tramite le piattaforme e subordinando la pubblicazione di annuncio alla presenza, ben visibile, del codice univoco associato a ciascuna proprietà pubblicizzata”.

“Auspichiamo che si possa contrastare con forza la piaga dell’abusivismo – ha detto il Presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca -. La speranza è che proprio l’istituzione del codice identificativo possa fare da deterrente per ogni forma di irregolarità”. Un’analisi realizzata da Federalberghi in collaborazione con Incipit Consulting e Inside Airbnb ha dimostrato che degli oltre 440 mila alloggi presenti sulla principale piattaforma per le locazioni brevi, il 55% prevede periodi di disponibilità superiori ai 6 mesi l’anno, mentre il 64% degli host gestisce più alloggi con casi limiti di soggetti che gestiscono più di mille sistemazioni. Se queste non sono imprese…

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