La crisi morde e chi può cerca d’arrangiarsi. Anche mettendo in gioco la casa o una porzione di casa per affitti brevi, a volte brevissimi, ma spesso lunghi anche più del dovuto. Tra aprile e giugno scorso gli ospiti (nella lingua dalle mille sfaccettature, l’italiano, ospite indica sia chi ospita sia chi riceve ospitalità, ma in questo caso usiamo la prima accezione) sono più che raddoppiati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Scelte motivate dall’avere spazi a disposizione (magari stanze lasciate libere dai figli cresciuti), e soprattutto dalla possibilità di contare su risorse supplementari per i mutui, le spese, le bollette, di galleggiare sulla crisi, insomma. È stato calcolato il guadagno mensile, al netto di tasse e competenze, per un appartamento affittato nel centro storico di una grande città d’arte: dai duemila ai tremila euro. Non male: l’home sharing non sarà forse la fonte di reddito principale, ma… aiuta.
È opportuna una premessa. Spesso si confonde la locazione breve con l’ospitalità in una casa vacanze. La prima (consentita tutto l’anno) è regolata dal codice civile (art. 1571). Il proprietario, a fronte di un corrispettivo in denaro, decide di concedere il godimento dell’immobile o di parte di esso per una durata non superiore a 30 giorni. Non sono previsti servizi accessori (come la colazione), salvo la fornitura di biancheria e asciugamani al check in e la pulizia al check out. Le case e appartamenti per vacanze, invece, sono a tutti gli effetti strutture turistico ricettive extra-alberghiere, soggette a normative specifiche. A differenza di quanto accade con la locazione turistica, non è possibile avviare l’attività di casa vacanze solo per una porzione di un appartamento, come per esempio un piano di una villetta o una stanza con bagno privato.
Il boom che si ricordava sopra riguarda le locazioni brevi, per intenderci quelle prenotabili da piattaforme web: un rental tourism, la vacanza in affitto, che vede assoluto protagonista Airbnb, il portale colosso statunitense nato nel 2007 e divenuto una vera major mondiale. Non senza polemiche: dall’aver causato l’aumento dei prezzi degli affitti in genere, all’ospitare annunci di operatori professionisti travisati da privati, alla concorrenza smodata con le strutture alberghiere soggette a imposizioni fiscali ben maggiori, allo stravolgimento dei tessuti urbani, con residenti del centro che si trasferiscono altrove pur di poter affittare la loro casa. Fenomeno, quest’ultimo, diffuso a tal punto da spingere alcune amministrazioni (non solo in Italia) a ipotizzare interventi arginali.
Una recente proposta dell’esecutivo dell’Ue è scaturita proprio in seguito alle posizioni assunte da destinazioni turistiche come Venezia, Parigi e Barcellona, che accusano proprio Airbnb di aggravare la carenza di alloggi, diminuendo i posti letto per i residenti a basso reddito. La proposta prevede che piattaforma di affitti debba trasmettere automaticamente una volta al mese le generalità degli ospiti. Le autorità monitoreranno i loro programmi e potranno applicare sanzioni in caso di non conformità. La proposta dovrà essere concordata con i Paesi e i legislatori dell’Ue prima di diventare legge. Quindi bisognerebbe iniziare da precisi censimenti dell’esistente, per procedere poi con “controlli sull’applicazione reale della regolamentazione – sostiene l’Osservatorio civico sulla casa e la residenza di Venezia -, che per essere efficaci non possono gravare solo sulle autorità locali o nazionali. Per questo, è indispensabile chiedere che le piattaforme digitali, come Airbnb, collaborino nel controllo di quanto ospitato nei loro siti web, perlomeno in due modi: fornendo ai Comuni i dati aggiornati su annunci e prenotazioni che avvengono tramite le piattaforme e subordinando la pubblicazione di annuncio alla presenza, ben visibile, del codice univoco associato a ciascuna proprietà pubblicizzata”. Secondo il progetto indipendente Inside Airbnb, che mappa la presenza degli annunci della piattaforma (riportato da Millionaire), la città italiana con la maggior concentrazione di annunci è proprio Venezia: qui gli annunci di Airbnb sono quasi ottomila.
Adesso la collaborazione, finalmente, sembra essere arrivata. Airbnb ha proposto nuove regole nazionali, con speciali tutele per i centri storici delle città d’arte, compresa l’eventuale cancellazione degli annunci ritenuti irregolari. Riconoscendo la delicata situazione creatasi in alcune città, Airbnb si propone di intervenire direttamente, seguendo peraltro le linee guida già avanzate dalla Commissione europea: open data, trasparenza sui dati; censimento dei territori più fragili, dove l’impatto delle case destinate ad affitti brevi è più impattante; registrazione nazionale obbligatoria; disciplina più rigida sull’utilizzo delle seconde case. La reazione del neoministro al Turismo, Daniela Santanchè, non è tardata. “Credo sia necessario – ha detto – definire un codice identificativo nazionale per dare maggiore trasparenza alle attività del settore. Mi assumo, inoltre, l’impegno di fare da portavoce a un tavolo di lavoro orientato a differenziare le attività individuali da quelle imprenditoriali: queste ultime che devono operare in un regime fiscale e di sicurezza differente rispetto a quello delle altre. Questo, ovviamente, anche per evitare la formazione di un sistema di concorrenza sleale nei confronti delle normali attività alberghiere”.
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