Il Consiglio dei ministri ha approvato il Def 2021 che prevede un ulteriore scostamento di 40 miliardi di euro. Una parte delle risorse, nelle intenzioni, dovrà essere destinato a sostenere i lavoratori autonomi e le imprese colpite dalle restrizioni adottate per contenere il contagio.

È auspicabile che il nuovo decreto, il “primo” dell’era Draghi, si caratterizzi per essere in discontinuità rispetto ai precedenti. Va in questa direzione la linea di finanziamento complementare al Recovery plan, circa 30 miliardi, destinata a dare una spinta aggiuntiva all’economia e riuscire a riportare il deficit sotto il 3% nel 2025, grazie alla crescita dell’economia avviata con le riaperture. Il mondo delle imprese e delle professioni si aspetta interventi concreti che spazzino via l’invadenza della burocrazia e dell’ideologia. 



Nei giorni scorsi è apparso su alcuni quotidiani il grido di allarme di un’azienda italiana rimasta fuori da una gara bandita da un’azienda di Stato. Deve destare attenzione un’affermazione dell’azienda :”Solo aziende straniere potranno soddisfare la richiesta […] il fatto non ci sorprende conoscendo la ridotta fiscalità ed il ridotto costo del lavoro di alcuni Paesi stranieri“. Il grido di allarme chiede attenzione alla politica e non ammette repliche. Occorre avviare concretamente le riforme che al momento sono al palo. Serve una politica industriale che prenda atto che la pandemia ci ha dimostrato che non abbiamo più un’industria. 



Nell’ultimo anno è stato chiaro che non eravamo in grado di produrre mascherine, ventilatori, vaccini, ecc. In questo contesto abbiamo appreso, come una doccia fredda, che l’avvio della riforma fiscale verrà rinviato al secondo semestre. Al momento sappiamo, dichiarazione del ministro dell’Economia, che si tratterà di una «articolata revisione», che riguarderà il prelievo, l’imposizione personale e la riscossione delle imposte. Il rinvio ha reso chiaro che la politica non è in grado di superare le sue divisioni. 

È auspicabile una riflessione sulla riforma della giustizia tributaria “avviata” in questi giorni. Non è chiaro se si vuole realizzare un sistema che disciplini il contenzioso tributario o se si vuole ulteriormente spingere verso il processo tributario. Non è solo una questione di denominazione. Il processo tributario, varato nel 1996, crea un eccesso di rigidità non accompagnato da giustizia per le imprese. Si assiste, infatti, a un eccesso di protagonismo di chi, in un continuo sforzo interpretativo, produce una “normativa” secondaria che ostacola le imprese mortificando il principio costituzionale della capacità contributiva. Prendendo a prestito il titolo di un articolo pubblicato in questi giorni “occorre superare i modelli precedenti per vincere le nuove sfide anche quelle globali”. 



Ritornando al tema degli interventi in programmazione va senza dubbio ascoltata l’associazione bancaria che ha evidenziato un forte interesse alla misura denominata Patrimonio rilancio. Si tratta di fondo da 40 miliardi gestito da Cdp e destinato a ricapitalizzare aziende con fatturato sopra i 50 milioni. La misura ricalca l’art. 26 del Decreto rilancio varato lo scorso anno dal Governo Conte. La patrimonializzazione delle imprese è una misura che ha molti pregi e risponde ad alcuni problemi annosi del nostro tessuto economico. Secondo il dg Giovanni Sabatini questa misura sarebbe destinata a incontrare “la reticenza degli imprenditori a richiedere un supporto pubblico”. Gli imprenditori, infatti, non accetterebbero volentieri che le misure di rafforzamento patrimoniale siano accompagnate da richieste che limiterebbero il controllo delle loro aziende. In cambio di una minore rigidità sarebbero disposti a distribuire una quota di utili o emettere strumenti ibridi. 

L‘art. 26 del Decreto rilancio attribuiva al socio e alla società che patrimonializzava la propria azienda un credito di imposta commisurato al proprio investimento. L’altra faccia della medaglia erano però i requisiti di accesso. Alcuni erano di difficile comprensione: riduzione del fatturato in misura non inferiore al 33% e l’esclusione delle imprese senza regolarità fiscale e quelle in difficoltà. Ciliegina finale un click day, avviato in questi giorni, che rischia di lasciare fuori molte aziende per esaurimento dello stanziamento previsto. 

Rilanciamo una proposta già fatta lo scorso anno. Quando un imprenditore decide un aumento di capitale è mosso da motivazioni senz’altro meritorie. Crede nella sua azienda, quindi vuole rafforzarla o risanarla. In ambedue i casi crede che rafforzando la propria azienda potrà meglio cogliere le opportunità del mercato o meglio affrontare le difficoltà. Se ciò è vero nei prossimi provvedimenti andrebbe eliminato ogni vincolo che subordini l’accesso alle agevolazioni alla riduzione di fatturato o alla regolarità fiscale. Che senso ha? Diversamente opinando daremo all’impresa un messaggio di difficile comprensione: sei in difficoltà, non ti rafforzare anche se così facendo mi ripagheresti. 

Misure interessanti dovranno riguardare il ristoro dei costi fissi prevedendo crediti di imposta automatici, accompagnate da sanzioni, da verificare successivamente. Andrebbe prevista la riduzione delle tasse locali: Tarsu, tassa per l’occupazione del suolo pubblico e delle imposte sulla pubblicità posto che le aziende chiuse non hanno prodotto rifiuti e non hanno occupato il suolo pubblico in maniera produttiva. Andrebbe affrontato il tema del cashback che è in contraddizione con il quadro RP presente nella dichiarazione dei redditi. Anomalo ed eccessivo è il premio dato ai consumatori rispetto a quello previsto per le imprese. La sanatoria prevista dal Decreto sostegni sugli avvisi bonari va allargata anche alle cartelle che verranno notificate fino al 31/12/2021. Un incasso della pretesa erariale limitata alle imposte dovute e agli interessi legali senza l’applicazione di sanzioni e quant’altro, da applicare solo in caso di inadempienza conclamata, darebbe respiro alle aziende. Un futuro provvedimento dovrà anche prevedere un trattamento specifico per i crediti inesigibili che sempre più appesantiranno i bilanci delle aziende quale conseguenza della crisi innescata dalla pandemia.

Andrebbe adottato un ulteriore provvedimento che differisca al 31/12/2022 i piani di risanamento già approvati per le aziende soggette a procedure. I sei mesi di proroga scaduti al 31/12/2020 non hanno prodotto alcun effetto se siamo ancora chiusi e queste aziende se possono ancora essere risanate potranno mantenere livelli occupazionali altrimenti persi.

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