Assumendo che sia tutto vero – Trump si è esposto abbastanza da far presumere che la notizia sia certa, ma con Trump non si può mai dire – la morte del califfo Abu Bakr al-Baghdadi (1971-2019), il fondatore dell’Isis, ha due grandi beneficiari: lo stesso presidente americano e al-Qa’ida.

La prima conclusione è scontata: mentre si prepara ad affrontare la procedura di impeachment, e anche i suoi amici più amici hanno dubbi sulla sua politica estera dopo l’improvvido abbandono dei curdi in Siria (che è poi l’abbandono dell’egemonia nella regione a Putin), Trump ottiene un successo simbolico uguale o forse persino superiore a quello del suo predecessore Obama quando fu ucciso Osama bin Laden (1957-2011).



Si può sostenere con buone ragioni che al-Baghdadi fosse un califfo dimezzato, con lo Stato islamico ridotto territorialmente a poca cosa e con critici all’interno del suo stesso movimento, dove c’era sempre stato chi gli rimproverava di essere più un intellettuale che un guerriero. E tuttavia pochi leader nel nostro secolo hanno avuto una tale capacità d’imporsi all’immaginario collettivo, risuscitando addirittura il mito, se non la realtà, del califfo, il comandante unico dei credenti nell’islam. Per converso, al-Baghdadi era diventato il cattivo per eccellenza per gli americani, e negli Stati Uniti – dove, è bene ricordarlo, la pena di morte è ancora in vigore – chi uccide il cattivo diventa sempre popolare.



Viviamo in un’epoca di fake news e di complottismi, e si legge che Trump avrebbe potuto eliminare il califfo anche prima ma lo ha fatto (o ne ha dato notizia) in un momento politicamente conveniente. Queste considerazioni rischiano però di distogliere l’attenzione da un aspetto essenziale della vicenda: il ruolo di al-Qa’ida, per capire il quale bisogna tornare alle origini e alla natura dell’Isis.

Il mito di fondazione dell’Isis, che pure è nato fra il 2013 e il 2014, ha una data precisa, il 2006, l’anno della morte in Iraq del terrorista internazionale giordano Abu Musa al-Zarqawi (1966-2006). Zarqawi, che aveva sempre mantenuto buoni rapporti con il regime di Saddam Hussein (1937-2006), dopo la caduta di questo e l’invasione americana era stato nominato da bin Laden “emiro” di al-Qa’ida in Iraq. In seguito, tuttavia, tra bin Laden e Zarqawi erano emersi crescenti dissensi. Zarqawi aveva metodi da tagliagole, culminati nella decapitazione con video dell’ostaggio americano Nicholas Berg (1978-2004), eccessivi e propagandisticamente controproducenti perfino per al-Qa’ida. 



Ma soprattutto Zarqawi teorizzava il massacro di tutti i non sunniti: cristiani, seguaci di altre religioni e anche “eretici” sciiti. Le sue milizie distruggevano in Iraq interi villaggi sciiti, uccidendo tutti gli abitanti. All’epoca, al-Qa’ida non aveva fra le sue priorità l’attacco ai cristiani (dopo, le cose sono cambiate), e soprattutto nella complessa strategia geopolitica di bin Laden un’occasionale retorica contro gli sciiti coesisteva con rapporti, mai interrotti e necessari, con l’Iran sciita. Lo si dice di rado apertamente, ma in Medio Oriente i più sono tuttora convinti che le indicazioni per trovare e uccidere Zarqawi nel 2006 siano state fatte arrivare agli americani dallo stesso vertice di al-Qa’ida.

Di qui crescenti tensioni fra la casa madre internazionale di al-Qa’ida e la filiale irachena, fino allo scisma del 2014 e alla nascita dell’Isis come gruppo separato e concorrente. Né si trattava di pure questioni di potere. Se possibile, l’Isis è ancora più radicalmente fondamentalista di al-Qa’ida. Teorizza e pratica, per esempio, la riduzione in schiavitù sessuale di donne “infedeli” – di cui ha fatto le spese soprattutto la minoranza yazida – e più in generale un ritorno a una versione letterale dell’islam delle origini che va al di là di tutto quanto al-Qa’ida ha teorizzato. L’idea che controllare un territorio dove ricostruire uno Stato islamico fosse più importante che compiere attentati terroristici in Occidente divideva pure tatticamente l’Isis da al-Qa’ida, ma ora il territorio sta scomparendo. Tuttavia, per le ragioni simboliche già accennate, l’Isis è ancora un concorrente fastidioso per al-Qa’ida.

Sembra proprio che negli ultimi giorni sia andato in scena un remake del caso Zarqawi. Gli americani ci assicurano che al-Baghdadi è morto nella provincia siriana di Idlib. Il problema è che a Idlib non si muove foglia senza che un gruppo ultra-fondamentalista chiamato Hay’at Tahrir al-Sham non voglia, e Hts è l’affiliata locale di al-Qa’ida. Scappando di provincia in provincia, al-Baghdadi è finito nella zona di al-Qa’ida. E molto probabilmente, come aveva fatto nel 2006 con Zarqawi e chiudendo il cerchio, al-Qa’ida ha fatto arrivare le informazioni giuste agli americani per trovare ed eliminare il califfo.

È finita la vita di al-Baghdadi, non l’Isis come organizzazione terroristica capace di colpire in Europa e altrove. L’Isis aveva da tempo precisato che erano già pronti i piani per eleggere un successore: morto un califfo se ne fa un altro. Al-Baghdadi non era più particolarmente popolare neppure fra i suoi. Con un territorio ridotto ai minimi termini, l’Isis torna ad assomigliare ad al-Qa’ida, che ora può sperare di riassorbirne lo scisma. Per gli europei, non è però una ragione per credere che gli attentati diminuiranno, né per abbassare la guardia.