“Alla National Gallery di Londra c’è un dipinto di Rembrandt, si intitola Il festino di Baldassare… È tratto da un racconto dell’Antico Testamento, libro di Daniele: Baldassare, re di Babilonia, dà una festa, durante la quale vengono compiuti atti blasfemi, tanto che a un certo punto appare una mano divina che scrive su una parete alcuna parole di avvertimento… Nel dipinto, queste parole pulsano dentro la tela scura come qualcosa di miracoloso. L’ebraico di Rembrandt, come potrai immaginare, era pessimo, eppure scrisse Mane, Mane Tekel, fares: sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato inadeguato. Ecco cos’è per me il nero… e per te?” (J. Logan, Rosso, Cue Press 2019).
La battuta è tratta da Rosso di John Logan, una drammaturgia introdotta in Italia da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, i quali hanno saputo portarlo alla ribalta milanese con un successo che dura da più di dieci anni. Il risultato è un racconto che affonda a precipizio nel senso dell’arte e della vita, attingendo alla biografia di Mark Rothko per inscenare un dialogo immaginario tra il maestro dell’espressionismo e un suo giovane assistente.
Uno spettacolo duro, che non fa sconti, e che se per una sorta di pudore quasi greco-antico non espone il suicidio di Rothko agli occhi del pubblico, trova comunque il modo di insinuare nel dialogo l’imminenza disarmante di quel gesto definitivo. Tra i segnali che lo presagiscono s’impone gravemente la menzione del quadro di Rembrandt e il misterioso ammonimento rivolto da Dio a Baldassare – peraltro parafrasato piuttosto liberamente dalla drammaturgia di Logan: sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato inadeguato.
Inadeguato. Mentre uscivo dalla sala del Teatro Elfo e mi restituivo al traffico di corso Buenos Aires, non riuscivo a grattarmelo via dalla mente. Mi si era seccato dentro, come un fondo di caffè rimasto troppo a lungo nella tazza. L’abisso su cui si affaccia il personaggio di Rothko, quella pulsione opaca che il pittore avverte di fronte al non-colore nero, quell’inquietudine ancestrale che accompagna la negazione della luce, assume – attraverso l’epigrammatico ammonimento – una connotazione dai tratti tremendamente famigliari, identificandosi con quel senso di smarrimento che nasce dalla misurazione del proprio limite, dalla coscienza spietata della nostra inadeguatezza, della nostra indegnità. Da quello sguardo, cioè, che il mondo – come uno specchio convesso – ci rimanda in ogni istante, deformando il nostro desiderio, restituendoci amplificata la percezione della nostra meschinità.
Ma questo è, appunto, lo sguardo che ci restituisce il mondo, non certo quello di Jahvè. La pesatura delle anime, che ci riporta alla psicostasia praticata dal dio egizio Thot, è una pratica che poco ha a che vedere con la condotta del Dio di Israele. Nelle Sacre Scritture viene descritta una novità di sguardo che si stacca prepotentemente dalla misura umana e che in maniera misteriosa, quasi scandalosa, la spezza e la spalanca. Lo evidenzia Luca Doninelli nella drammaturgia di un altro spettacolo, Il mormorio del vento, che sarà in scena a Milano per la prima volta dal 30 marzo all’1 aprile, al Teatro Oscar.
La cornice del testo (pubblicato nel volume La passione secondo i nemici e altri testi teatrali, Ares 2022) è abitata da due scacchisti d’eccezione: le personae della scena sono infatti Lucifero e il suo avversario, che Doninelli indica semplicemente come un “Personaggio Misterioso”. Per quel chiacchierone del diavolo, la partita a scacchi è un’occasione per mettere a processo le strategie del suo nemico, che viene accusato senza mezzi termini di giocare sporco. Un esempio? Facile: la vicenda del profeta Elia. Un uomo solo, grossolano e sanguinario. Un bipolare capace di sterminare 450 seguaci di Baal, per poi ubriacarsi di tristezza e cercare la morte nel deserto. Un candidato del tutto inadeguato a portare nel mondo la parola di Dio: la preferenza che Jahvè gli accorda ignora completamente le regole del gioco e contraddice ogni logica. Come si può vincere la partita scommettendo su un simile individuo? Non è assurdo il solo pensarlo? Il Personaggio Misterioso non concede spiegazioni: eppure, sentendo raccontare la storia di Elia viene voglia di trovare qualcuno che scommetta così su di noi, restituendoci uno sguardo d’amore su noi stessi. Uno sguardo che, misteriosamente, possa apparire più umano dell’umano.
“Ti ci vorrebbe così poco per sottomettere tutti, me compreso, davanti a te! Tu, invece, parli sussurrando nel vento, la tua voce entra nel mondo che tu stesso hai creato ma non appartiene al mondo. Io non comprendo queste cose. Posso ripetere la forma del tuo ragionamento, connettere tra loro i tuoi argomenti, fissare i tuoi sillogismi, ma è il cuore che mi sfugge. È il cuore… Chi sei?”
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Dal 30 marzo all’1 aprile al Teatro Oscar di Milano “Il mormorio del vento” di Luca Doninelli. In scena Maurizio Donadoni nei panni di Lucifero. Per maggiori info visita il sito.
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