I venti alberi di Natale allestiti in giro per Milano ad opera di Coca Cola e altri sponsor insieme alla Fondazione Bracco stanno suscitando diverse discussioni tra i creativi e gli esperti di comunicazione. Ascoltiamo la posizione di Alberto Contri, da mezzo secolo impegnato tra media e pubblicità, per vent’anni presidente di Pubblicità Progresso, e da altrettanto tempo anche docente di Comunicazione Sociale in diverse Università.



Lei ha espresso un giudizio articolato su questa operazione, ce lo vuole illustrare?

Innanzitutto va dato a Cesare quel che è di Cesare: l’iniziativa è altamente encomiabile, dato che oltre a vivacizzare diverse piazze milanesi, ha comportato il dono di 2 milioni di pasti al Banco Alimentare. Un gran bel segno di solidarietà in un periodo particolarmente duro da superare per i meno abbienti. Da questo punto di vista Coca Cola, Fondazione Bracco e gli altri sponsor hanno fatto davvero un gran regalo di Natale a tutta la nostra città.



Cosa non è piaciuto a lei e a diversi suoi colleghi?

È stata giudicata incoerente l’esecuzione di un progetto di per sé bello e ambizioso, soprattutto per la mancata aderenza al vero significato del Natale. Ora è pur vero che questa ricorrenza è diventata sempre di più un’occasione laica di festeggiamenti a base di consumi, regali e cenoni. Stupisce però che – nonostante i richiami ai valori religiosi e a S. Ambrogio ben presenti nei comunicati ufficiali – tra i venti alberi ispirati a diversi temi come la conoscenza, il vento, il cambiamento, eccetera – non ce ne fosse nemmeno uno ispirato alla Natività o alla tradizione religiosa di questa festa in cui si celebra da duemila anni la nascita di Gesù. Il tutto si è trasformato in una mostra di installazioni con finalità artistiche, molte delle quali davvero interessanti, sparse in giro per i quartieri della città invece che raccolte nei saloni della Triennale.



Lei e diversi suoi colleghi non siete stati teneri nemmeno con Marco Balich, l’artista noto per le inaugurazioni delle Olimpiadi, che ha curato tutti i progetti.

Anche qui occorre evitare di essere fraintesi: nessuno si sogna di togliere un grammo di gloria alle insuperabili abilità di Marco Balich nel creare e gestire coreografie per grandi eventi, che definire spettacolari è dire poco. Proprio per questo è dispiaciuto il calo di creatività espresso nell’installazione principale, quella dell’albero firmato Coca Cola sistemato in piazza Duomo. Perché si tratta tutto sommato della riproduzione in sedicesimo del modulo creativo usato per l’Albero della Vita da lui realizzato per Expo: un po’ di fumi, laser e luci colorate, e soprattutto una colonna sonora di carattere più circense che natalizia, senza nemmeno un brano musicale tipico della tradizione: che so, un White Christmas o un Silent Night. E invece sono stati preferiti brani in stile tonitruante o tendenti allo sberleffo come “Il Maestro di Cappella”. In più, durante una sequenza di luci tutte rossastre, si ode pure un clavicembalo accompagnare strilli e grida: un momento oggettivamente straniante, assai più in sintonia con una dantesca bolgia infernale. Forse White Christmas sembrava troppo tradizionale, e Silent Night troppo religiosa per la celebrazione di un Natale moderno. Indubbiamente un altro segnale dell’attuale tendenza a espungere dal contesto sociale tutto ciò che è sacro o spirituale.

Per l’occasione lei, che è appena stato nominato presidente del Centro nazionale S. Bernardino per la Responsabilità Sociale, ha lanciato un appello ai Brand e alle Fondazioni filantropiche. Ci può dire qualcosa in merito?

Il Centro S. Bernardino verrà presentato ufficialmente a gennaio. Oltre alle molte attività di carattere seminariale e formativo riservate alle imprese e a tutte le scuole e le università di ogni ordine e grado, intende riflettere a fondo sulla Responsabilità Sociale e sulla Sostenibilità, termini fin troppo di moda e pure parecchio abusati: per questo scopo è stato costituito un Comitato Scientifico di docenti ed esperti di tutta Italia e di assai alto livello. Responsabilità sociale e sostenibilità non possono significare soltanto operare con più che benemerite attività filantropiche. La sostenibilità complessiva va intesa anche in senso lato: nella fattispecie, nel progetto degli alberi, è mancato purtroppo il rispetto del vero significato del Natale e delle secolari tradizioni religiose che lo hanno sempre contraddistinto. E proprio nella città di S. Ambrogio! Sostenibilità non può significare soltanto rispetto della natura, ma anche rispetto di valori, tradizioni e sentimenti di gran parte della popolazione. E della storia della città.

Lei, nel suo ultimo saggio “La sindrome del criceto”, parla di Agenzie di senso che stanno perdendo il loro ruolo, lasciando ampi spazi che vengono occupati ad esempio dai grandi Brand che si sono messi a proporre determinati stili di vita o addirittura ideologie.

È un discorso molto complesso che va approfondito con serietà. Sul concetto di famiglia, ad esempio, ci sono brand globali intenti a proporre una visione del mondo basata su un convinto relativismo etico del tutto svincolato dalle leggi di natura. È una deriva pericolosa che comincia a provocare nei consumatori di tutto il mondo fenomeni di irritazione e rigetto. Da tempo il presidente del Censis De Rita denuncia poi la scomparsa dei corpi intermedi, che erano anche degli elaboratori culturali e dei custodi delle tradizioni. Le più aggiornate ricerche sociali ci parlano inoltre di un profondo mutamento in atto nei cittadini/consumatori, che posti di fronte alla paura di una pandemia potenzialmente mortale, rimodulano i loro bisogni tornando a concentrarsi su valori più essenziali. Il che rende improvvisamente obsoleta la semplice equazione in base alla quale si ritiene facile costruirsi una buona reputazione con un po’ di azioni filantropiche, o in stile panem et circensens come alla fine appare il progetto degli alberi. Cui bastava ben poco per celebrare in modo adeguato lo spirito vero del Natale e ottenere un consenso molto più ampio.