Francesco Alberoni ha saputo portare la sociologia fra le masse. Formatosi sul pensiero di Max Weber, la sua grande intuizione è stata quella di usare la sociologia come uno strumento di indagine dei comportamenti privati quali l’innamoramento, la conversione, la partecipazione alla vita pubblica. La morte di Alberoni ci consegna, pertanto, la figura di un intellettuale profondamente coerente, capace di sviluppare trasversalmente alcune idee chiave che – grazie al suo lavoro – sono entrate nella cultura popolare e nel patrimonio del dibattito pubblico italiano.



Per cogliere in modo più puntuale questa sua caratteristica è utile provare a concentrarsi su alcuni esempi tipici del suo modo di procedere, senza disperdersi nel mare magnum della letteratura e della pubblicistica prodotta in più di sessant’anni di attività. Nel 2015 Alberoni fu chiamato a leggere e a commentare la monumentale opera sulla vita di don Giussani scritta da Alberto Savorana. La sua riflessione, pubblicata insieme a quella di molti altri in un’apposita miscellanea, presenta una disamina dell’opera del sacerdote di Desio profonda e originale. Per Alberoni ogni movimento, sia esso un innamoramento o un’istanza religiosa, ha come origine un’esplosione, uno stato nascente. Comunione e Liberazione, secondo il sociologo piacentino, ha avuto come origine l’esperienza di amore a Cristo fatta da Giussani fin dall’adolescenza, al punto tale che era praticamente impossibile intessere una profonda amicizia con Giussani senza intessere una profonda amicizia con Cristo.



Alberoni definisce questo moto originario un’esperienza mistica che ha generato attorno a sé il desiderio di farne parte, di viverla, di immedesimarsi sempre di più nel rapporto tra Giussani e Cristo. Il punto è che, come tutti i fenomeni collettivi, anche Comunione e Liberazione ha assunto la forma di movimento, ossia di una realtà stabile caratterizzata da diverse attività e iniziative che diventavano, nell’ottica del fondatore, la porta attraverso cui chiunque poteva accedere a quell’esperienza. Alla stabilizzazione, tuttavia, succede abbastanza repentinamente una terza fase di istituzionalizzazione in cui spesso permangono tutte le forme dell’inizio, ma prive della carica vitale che le ha generate.



La cosa davvero interessante è che Alberoni sostiene che Giussani ha sempre avuto tutto questo molto chiaro e che abbia passato tutta la propria vita a fare quello che fanno due persone che si amano: vivificare continuamente le forme del quotidiano, riaccendere costantemente l’ardore dell’inizio, la scoperta da cui l’Io si mette in moto.

Sostiene lo studioso che “egli ha capito subito che il suo movimento correva il rischio di cristallizzarsi in regole, gerarchie, rituali, sclerotizzandosi in una forma che espelle l’anima, in cui il ruolo assorbe talmente la persona che la rende mondana; e così si perde lo spirito, il fuoco divino delle origini”. E cita un brano del 1962 in cui il sacerdote brianzolo afferma che “Si può diventare fedelissimi nell’usare un metodo come formula e tramandarlo, accettarlo, senza che questo metodo continui a essere ispiratore di uno sviluppo: un metodo che non sviluppi una vita è un metodo sepolcrale, è silicizzazione”. Chiosa Alberoni, mostrando che la sua non è una dissertazione indipendente dal suo metodo, ma un’esemplificazione del metodo stesso: “L’amore appassionato dura solo se rinasce, se i due amanti si reinnamorano, se si cercano e riscoprono a ogni incontro lo stupore, la freschezza e l’incantesimo del primo giorno. L’amore non è una cosa che dura per inerzia, ma solo se continuamente si riaccende. E grandi amori si possono riaccendere solo nella libertà, quando il tuo amato non è obbligato ad amarti, ma è libero anche di non amarti, per cui ogni volta il suo amore è dono, grazia. L’amore che dura è perciò un succedersi di incontri in cui l’amore rinasce. L’amore non dura restando se stesso identico come il sasso, la pietra, ma dura pulsando come il battito del cuore, fatto di sistole e diastole, quindi di continui incontri, di continue rinascite. Questo continuo rinascere dell’amore e della fede don Giussani voleva imprimerlo al movimento, invitandolo costantemente all’incontro con la Presenza, all’incontro con Cristo”.

Con Alberoni ci lascia, quindi, un attento osservatore delle dinamiche umane, un appassionato della vita, un uomo ultimamente leale con la sua esperienza che – per lui – non è mai un’espressione soggettiva, ma l’esito del rapporto con l’oggettività di un fatto. Se si perde di vista questo fatto, tutto diventa relativo, tutto diventa eco di un sentimento o di un’idea, tutto è manipolabile.

Quello che, in fondo, è mancato ad Alberoni è quello che rischia di mancare ad ognuno di noi: la presenza di un luogo che confermi o corregga le intuizioni di ciascuno. Un luogo che possa custodire l’amore anche quando questo viene meno. I sociologi la chiamerebbero comunità, i cristiani sono soliti chiamarla Chiesa.

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