Sono decisamente inusuali le dichiarazioni rilasciate da Alberto Grandi, presidente del corso di laurea in Economia e management all’Università di Parma, docente di storia dell’alimentazione, su alcuni dei piatti tipici della tradizione culinaria italiana. Intervistato dai microfoni del Corriere della Sera, ha di fatto smontato alcuni dei capisaldi sulle tavole del Belpaese, a cominciare dalla carbonara «Fino al 1953 non ne parlava nessun ricettario – racconta Alberto Grandi parlando con il quotidiano di via Solferino – gli ingredienti furono portati nel secondo dopoguerra dalle truppe americane. A bacon e uova, la loro colazione, aggiunsero la pasta. Il gastronomo Luigi Carnacina se ne attribuiva la paternità. Il collega Luigi Veronelli gli chiese: “Ma perché le hai dato questo nome?”. La risposta fu: “Non me lo ricordo”».
Secondo il docente universitario l’Italia avrebbe una tradizione culinaria di solo circa mezzo secolo: «L’Italia da un bel po’ non crede più al futuro, così ha inventato un fastoso passato. La verità è che eravamo morti di fame. Mangiavamo poco e male. Poi abbiamo cominciato a mangiare tanto e male. Alla fine ci siamo raccontati di aver sempre mangiato tanto e bene». Ma c’è un piatto tipicamente italiano? «È dura. Mi hanno crocifisso per aver scritto che le pizzerie nacquero in America, eppure fu là che si cominciò a mangiare la pizza stando seduti. Nel nostro Sud era un cibo di strada. Bravo il napoletano Raffaele Esposito a inventarsi nel 1889 d’aver ideato la Margherita in onore della regina d’Italia, giunta a Capodimonte con Umberto I. Negli Usa era un cibo per disperati, vivamente sconsigliato dai medici, al pari dei maccheroni».
ALBERTO GRANDI: “IL PARMIGIANO COMPARVE PER LA PRIMA VOLTA NEL WISCONSIN”
E deriva sempre da oltre oceano il mitico Parmigiano, per lo meno stando a quanto sostiene Alberto Grandi: «Oggi si fa un gran parlare del parmigiano contraffatto, però fu alla fine del XIX secolo che comparve nel Wisconsin il tanto deprecato Parmesan, in forme di circa 20 chili e con la crosta nera. Chi lo produceva? Qualche casaro italiano emigrato là. Ne cito uno solo: Magnani. Un cognome molto diffuso fra Parma e Mantova. Soltanto nel 1938 spunta il primo consorzio di tutela del Parmigiano reggiano». Gli spaghetti sarebbero invece nati in Africa: «Oggi la pasta si fa con il frumento Creso, in commercio dal 1974, che ha soppiantato il famoso Senatore Cappelli. C’entra la “battaglia del grano” intrapresa da Benito Mussolini, giacché un terzo della materia prima per il pane dipendeva dalle importazioni, con pesanti ricadute sulla bilancia commerciale. In soccorso del Duce venne il genetista Nazareno Strampelli. Fu lui a inventare il grano duro dedicato al senatore Raffaele Cappelli, che per primo aveva finanziato le sue ricerche. Attraverso pazienti incroci, l’agronomo marchigiano creò una varietà assai produttiva e resistente alle malattie: il grano Ardito. Ma ci arrivò utilizzando una varietà trovata in Tunisia».
Qualcosa di nostro comunque c’è: «L’aceto balsamico tradizionale di Modena, che nella versione Igp, la meno nobile, è una delle cinque leccornie più esportate insieme con Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Prosecco e Prosciutto di Parma». Niente da fare invece per il gustoso pomodoro ciliegino: «A brevettarlo nel 1989 fu la Hazera genetics di Tel Aviv, alla quale ancor oggi i siciliani pagano le royalty per le sementi». Ma cosa insegne Alberto Grandi ai suoi alunni, domanda il giornalista del Corriere della Sera: «Come ha mangiato l’uomo prima della scoperta del fuoco. L’idea che si nutrisse di ciò che cacciava è fasulla. Gli ominidi erano divoratori di carogne, al pari degli avvoltoi e delle iene». Chiusura dedicata a quanto accadrà nell’imminente futuro, alla luce anche della guerra in Ucraina e della crisi del grano: «Non credo a una carestia in Italia. Il grano russo e ucraino che sfama l’Africa lo daranno a noi. Lo paghiamo di più».