Ricorre oggi il centenario della nascita di Alberto Sordi, un’autentica icona del cinema italiano del Novecento. Dopo gli esordi, fin da giovanissimo, come doppiatore e attore di macchiette comiche sia nel teatro di rivista che alla radio, ha saputo, con ambizione e coraggio, migliorare il repertorio e affinarsi in tutti i campi della recitazione fino a diventare il protagonista assoluto, a fianco di altri mostri sacri, di larga parte del nostro cinema dal secondo dopoguerra fino a tutti gli anni Settanta.
Negli anni centrali della carriera la sua sorte artistica si intreccia indissolubilmente con la stagione della commedia, quella definita ex-post “all’italiana”. In essa il suo volto diventa maschera, una sorta di moderno Arlecchino, ambiguo, indolente e a tratti qualunquista, in questo cinema che recupera l’antica verve del teatro popolare italiano e i caratteri della commedia dell’arte, ammodernandoli. Quando il neorealismo, stemperandosi, dà origine alla commedia di costume, si aprono infatti ampi spazi per gli attori non espressamente accademici (ricordiamo che il nostro eroe fu espulso dall’Accademia dei Filodrammatici di Milano nel 1936 per eccessiva inflessione dialettale). Alberto Sordi è stato uno dei protagonisti di questa virata decisiva del cinema italiano, tanto da poter essere considerato un autore cinematografico in senso pieno, molto al di là delle sue poche e poco convincenti prove alla regia, per mezzo del suo volto e della sua presenza scenica. È stato animale da palcoscenico come pochi altri, attore comico brillante capace anche di notevoli interpretazioni di taglio melodrammatico, perfino tragico.
Nei primi anni di carriera, come già ricordato trascorsi tra comparsate nelle grandi produzioni di Cinecittà, ruoli comici nel teatro di rivista (l’esordio con la compagnia di Guido Riccioli e Nanda Primavera nel 1938) e macchiette alla radio (celebre quella de I Compagnucci della Parrocchietta), spicca un episodio quasi profetico: nel 1937 un Alberto Sordi solo diciassettenne vinse il concorso indetto dalla MGM per il doppiaggio di Oliver Hardy nei film di Stanlio & Ollio da distribuire in Italia. È sua la voce calda, profonda e ben impostata di Ollio che ancora oggi sentiamo nelle, ormai rarissime, occasioni in cui passa in tv una comica o un film della celeberrima coppia comica americana. Ma lo sbocco naturale di un simile talento è il cinema.
Dopo una ventina di ruoli minori in altrettante commediole – da ricordare solo il petulante boy-scout in Mamma Mia, Che Impressione! (Savarese, 1951) – la svolta arriva tra il 1952 e il 1954, anni nei quali assume finalmente il ruolo di protagonista ne Lo Sceicco Bianco (Fellini, 1952), nel corale I Vitelloni (Fellini, 1953), in Un Giorno in Pretura (Steno 1954) e soprattutto in Un Americano a Roma (Steno 1954), film del definitivo lancio. Ai tempi, ricordano infatti le cronache, i giornali pubblicavano una locandina del film sulla quale il nome di Sordi era più grande sia di quello della sala cinematografica che di quello del regista, e quasi grande come il titolo del film stesso.
Autentica forza della natura, l’attore romano diventa da allora un divo assoluto del cinema nostrano. Per il successivo ventennio, almeno, inanella numerosi ruoli da protagonista in altrettanti film di spicco della nostra produzione, alcuni dei quali indimenticabili. Ricordiamone alcuni dei più celebri, a campione: Il Conte Max (Bianchi, 1957), Il Vedovo (Risi, 1959), La Grande Guerra (Monicelli, 1959), Tutti a Casa (Comencini, 1960), Una Vita Difficile (Risi, 1961), Il Medico della Mutua (Zampa, 1968), Detenuto in Attesa di Giudizio (Loy, 1971).
A partire dal 1966 Sordi si cimenta anche alla regia, con il supporto in fase di scrittura del soggetto e di sceneggiature del collaboratore di sempre e amico Rodolfo Sonego. Di quell’anno è infatti Fumo di Londra, film a tratti insolito su vizi e virtù degli italiani all’estero, impreziosito da una bella canzone di Piero Piccioni cantata da Mina. A fine carriera si conteranno 19 regie, tra le quali spicca Polvere di Stelle (1973), omaggio agli anni ruggenti del varietà interpretato al fianco di una spumeggiante Monica Vitti.
Poi il complessivo inevitabile decadimento che il cinema italiano conosce a partire dalla metà degli anni Settanta coinvolge un po’ tutti, Sordi compreso. Di spessore fatalmente inferiore al suo standard risultano allora le interpretazioni, invero ancora numerose, del periodo che va dal 1975 alla fine della carriera (ultimo film nel 1998, Incontri Proibiti a fianco di, nientemeno, Valeria Marini). Evidenziamo come episodi migliori del periodo il melodramma sociale Un Borghese Piccolo Piccolo (Monicelli, 1977) e la riuscita commedia in costume Il Marchese del Grillo (Monicelli 1981), senza per questo mancare di rispetto a un attore che è stato immenso e ha fino all’ultimo onorato con sincera devozione la sua professione-vocazione.
Per celebrare il grande attore romano il canale 34 del digitale, da qualche mese dedicato al cinema italiano dei generi storici, ripropone tre film ogni sera per sei serate, dal 15 al 20 giugno. La scelta è ardua, vista la sua notevole filmografia, sia per qualità che per quantità di titoli. Speriamo che le pellicole proposte siano effettivamente quelle con il Sordi migliore, tralasciando quelle di pura cassetta o le inevitabili decadenze di fine carriera. Circostanza però parzialmente indipendente dalla volontà dei curatori la rassegna, piuttosto legata al possesso o meno dei diritti dei vari film da parte della testata. L’iniziativa è comunque lodevole, perché il nome di Alberto Sordi è indissolubilmente legato, come già ricordato, ad alcuni dei capolavori del genere cinematografico nazionale, la commedia, sia quella di costume e di satira sociale che quella più contigua al cinema comico.
“Te lo meriti, Alberto Sordi, te lo meriti!”, urlava Nanni Moretti in una scena del suo Sogni d’Oro (1981), rivolto a un negoziante qualunquista. Spogliata dagli originari intenti polemici, la frase la facciamo nostra in questo omaggio nel centesimo anniversario della nascita. Ce lo siamo meritati, Alberto Sordi, attore universale che ha arrecato lustro a oltre cinquant’anni di storia del cinema italiano.