Bastano l’alito e la testimonianza degli agenti per provare l’ubriachezza di un automobilista, non serve necessariamente l’alcoltest: a stabilirlo è la Cassazione con una sentenza con cui stabilisce che può essere determinata dall’odore intenso di alcol o stato comatoso, così pure l’incapacità a rispondere alle domande, tutte manifestazioni della presenza di alcol nel sangue. I giudici della Suprema Corte ritengono che questi elementi “obiettivi” siano sufficienti per verificare l’ubriachezza del conducente, pertanto non è più necessario l’alcoltest per verificare il superamento della soglia minima consentita di 1,5.
Con queste conclusioni, la Cassazione ha respinto il ricorso di un automobilista di Brescia, spiegando che l’alcoltest non è una prova legale, quindi la verifica della presenza di alcol per stabilire l’eventuale guida in stato di ebbrezza può essere effettuata anche avvalendosi di “elementi sintomatici” e, se vengono superare soglie più alte, la decisione va sorretta da una motivazione appropriata.
“ALCOLTEST NON COSTITUISCE PROVA LEGALE”
La sentenza di primo grado era stata riformata in maniera parziale dalla Corte d’Appello di Brescia, che d’altra parte aveva confermato la condanna a 6 mesi di carcere, la revoca della patente e la sanzione, visto che l’imputato era stato sorpreso alla guida in stato di ebbrezza, arrivando a causare un incidente stradale, ma la sua condizione non era stata riscontrata, a detta dell’uomo, con “dati tecnici obiettivi“.
Per questo motivo aveva deciso di presentare ricorso in Cassazione, sostenendo che nei primi due gradi di giudizio erano state date per certe le sue condizioni di alterazione solo in base alle testimonianze degli agenti e gli esami erano stati giudicati inutilizzabili. Di diverso avviso è la Cassazione, secondo cui l’argomentazione dell’imputato non è sufficiente, mentre sono giudicate appropriate le motivazioni dei giudici di merito, anche perché l’alcoltest non è una prova legale per la Suprema Corte.
“TESTIMONIANZE NON SONO CONSIDERAZIONI SOGGETTIVE”
Nella fattispecie, i giudici di merito hanno riscontrato che le condizioni mostrate dall’imputato alla vista degli agenti rappresentano quegli elementi “obiettivi e sintomatici” cui fa riferimento la Cassazione, nella cui sentenza certifica che quella condizione è “certamente riconducibile” al consumo elevato di alcol, “certamente superiore” alla soglia minima.
Queste considerazioni possono apparire soggettive, ma per la Cassazione sono una motivazione valida. Questa sentenza, secondo quanto riportato dal Messaggero, potrebbe aprire nuovi scenari, in primis la strada a diverse condanne, anche più frequenti, basate solo sulle testimonianze degli agenti.