«Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l’onorevole Aldo Moro. Io non vi conosco, e non ho modo d’avere alcun contatto con voi. Per questo vi scrivo pubblicamente, profittando del margine di tempo, che rimane alla scadenza della minaccia di morte, che voi avete annunciata contro di lui, Uomo buono ed onesto, che nessuno può incolpare di qualsiasi reato, o accusare di scarso senso sociale e di mancato servizio alla giustizia e alla pacifica convivenza civile»: iniziava così la lettera di Papa Paolo VI inviata ai rapitori delle Brigate Rosse che il 16 marzo 1978 rapirono l’allora Presidente della Democrazia Cristiana uccidendo tutti gli uomini della scorta, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino.



Sono parole dure, straordinarie e che esprimono tutto il tentativo – da amico e da Papa – per liberare l’ex Presidente del Consiglio nel convulso anno 1978. Sono passati 43 anni e la memoria è tutt’altro che “sparita”: «Una data quella del 16 marzo 1978, incancellabile nella coscienza del popolo italiano. Lo sprezzo per la vita delle persone, nel folle delirio brigatista, lo sgomento per un attacco che puntava a destabilizzare la vita democratica italiana, rimangono una ferita e un monito per la storia della nostra comunità. Sono vite strappate agli affetti familiari da una violenza sanguinaria, sono lacerazioni insanabili. Alle vittime va un pensiero commosso e ai familiari la solidarietà più intensa, che il trascorrere degli anni non ha mai indebolito», così lo ricorda oggi il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel messaggio pervenuto nella mattinata durante le celebrazioni di stamane in Via Fani a Roma. Alle ore 16 il segretario del Pd Enrico Letta si recherà sul luogo della strage per la commemorazione mentre il leader della Lega Matteo Salvini ha rilanciato in una nota la memoria per la strage, la scorta e il politico Dc rapito 43 anni fa «in memoria di Aldo Moro, del suo rapimento e calvario, e dei cinque uomini della scorta trucidati dalle Brigate Rosse 43 anni fa. Il loro sacrificio sia da monito per l’esercizio quotidiano di libertà e democrazia, nella lotta ad ogni forma di terrorismo e violenza politica»



TUTTE LE DATE DEL SEQUESTRO MORO

55 giorni, questo il lasso di tempo in cui è durato il sequestro di Aldo Moro messo a punto dalle Brigate Rosse: dal 16 marzo per l’appunto, con il rapimento in Via Fani, fino al tragico 9 maggio quando il Presidente della Democrazia Cristiana venne ucciso e poi fatto ritrovare nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in Via Caetani, sempre a Roma. Ma tutto era cominciato esattamente 43 anni fa, alle ore 9, quando un commando delle Brigate Rosse entra in azione a via Fani: dopo aver bloccato con un tamponamento le auto del presidente Dc Aldo Moro, le Br uccidono i 5 uomini di scorta e portano via Moro su una Fiat 132 blu. Il neo-nato Governo Andreotti quella sera stessa ottenne il voto di fiducia alla Camera e al Senato, con voto favorevole del Pci, frutto proprio del lavoro di “dialogo” tra comunisti e democristiani favorito da Aldo Moro: il 18 marzo arriva il primo comunicato delle BR che contiene la foto di Moro e annuncia l’inizio del “processo” al leader Dc. È poi il 19 marzo quando arriva il primo appello del Papa, poi reiterato altre volte nel corso dei 55 giorni di prigionia fino al messaggio sopraindicato del 22 aprile: il comunicato n. 3 arriva il 29 marzo con la lettera al ministro dell’Interno Cossiga in cui Moro dice di trovarsi ‘«sotto un dominio pieno e incontrollato dei terroristi» e accenna alla possibilità di uno scambio.



Il 15 aprile finisce il “processo del popolo” fatto dai sequestratori delle Br a Moro; il 29 aprile vengono inviate lettere di Moro a Leone, Fanfani, Ingrao, Craxi, Pennacchini, Dell’ Andro, Piccoli, Andreotti, Misasi e Tullio Ancora. Psi e parte della Dc sono propensi alla trattativa, Andreotti e Zaccagnini invece non vogliono trattare con i terroristi: infine il ’Comunicato n. 9′ il 5 maggio dove si annuncia «Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza», segue la lettera di Moro alla moglie: «Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l’ordine di esecuzione».